Il colore scelto è il blu, e illuminerà le città italiane, partendo dai palazzi del Governo e dal Campidoglio. La storia che racconta è quella dei disturbi dello spettro autistico.
La Giornata Mondiale della Consapevolezza dell’Autismo, istituita nel 2007 dall’Assemblea Generale dell’ONU, vuole accendere la luce su quell’insieme eterogeneo di disturbi del neurosviluppo che si esprime con severità differente da persona a persona.
Caratteristici di questo tipo di disturbi sono l’uso stereotipato dei movimenti e del linguaggio; una eccessiva aderenza alle routine; resistenza ai cambiamenti, iper o ipo reattività agli stimoli sensoriali.
Il termine autismo appare all’inizio del XX secolo: nel 1912 lo psichiatra svizzero Eugen Bleuler utilizza il termine per associare una serie di sintomi alla schizofrenia.
La prima definizione di autismo come sindrome clinica risale a due pubblicazioni degli anni ‘40: la prima, nel 1943 di Leo Kanner, in cui descriveva bambini caratterizzati dall’assenza di interessi sociali, tendenza a stare da soli, intolleranza ai cambiamenti, interessi ristretti e stereotipati, disturbi del linguaggio e riduzione delle capacità cognitive; la seconda, del 1944 ad opera di Asperger descriveva soggetti con simili comportamenti riscontrati da Kanner ma senza deficit cognitivo e linguistico.
Da allora, si è passati dalla definizione di autismo a quella di disturbi dello spettro autistico, introdotti all’interno dell’ultima revisione, la quinta, del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali – DSM.
La novità sostanziale, rispetto alle precedenti edizioni, è l’identificazione di un ‘nucleo sintomatologico’ comune che si trova alla base delle differenti espressioni del disturbo, e nella identificazione di differenti di gradi gravità della sintomatologia stessa.
In sostanza viene eliminata la caratterizzazione preesistente (disturbo autistico, sindrome di Asperger, disturbo disintegrativo dell’infanzia, sindrome di Rett, e disturbo pervasivo dello sviluppo non altrimenti specificato), ricorrendo al termine ‘spettro’, con cui gli specialisti vogliono sottolineare l’eterogeneità del disturbo e un continuum sintomatologico in cui ciascun individuo presenta le proprie specificità.
Anche i criteri diagnostici sono stati aggiornati, passando dai tre precedenti categoriali, a due criteri, invece, dimensionali, ovvero la difficoltà di comunicazione sociale e di interazione sociale e i comportamenti, interessi o attività ristretti e ripetitivi.
Il nodo, fondamentale, una volta identificato il disturbo è quello di assicurare le migliori cure possibili volte a incrementare la qualità della vita degli individui.
Dagli anni ’80, in cui solo il 25% delle persone diagnosticate arrivava a sviluppare capacità di comunicazione verbale, si è passati all’odierno 75% circa di soggetti diagnosticati capaci di sviluppare tali competenze.
A fare la differenza nel miglioramento della qualità della vita è stata la diagnosi precoce e l’intervento tempestivo, cruciali per garantire una maggiore efficacia degli interventi rispetto a quelli avviati nell’infanzia tardiva. A promuovere questa attività, l’Osservatorio Nazionale Autismo dell’Istituto Superiore di Sanità, che promuove il riconoscimento precoce attraverso la sorveglianza della popolazione pediatrica generale e quella ad alto rischio, identificata in bambini con fratelli o sorelle con diagnosi di disturbo dello spettro autistico fino 36 mesi di vita; neonati prematuri tra la 26° settimana e la 31° settimana di età gestazionale o con un peso inferiore a 1500 grammi, e neonati piccoli per età gestazionale, ovvero con peso alla nascita minore del 3° percentile.
Ad oggi in Italia 1 bambino su 77 (età 7-9 anni) presenta un disturbo dello spettro autistico con una prevalenza maggiore nei maschi, colpiti 4,4 volte in più rispetto alle femmine.