A lanciare l’allarme è stata la Gran Bretagna, poi sono stati registrati casi in Danimarca, Irlanda, Paesi Bassi e Spagna. Anche in Italia, però, si registrano 4 casi sospetti della nuova epatite acuta grave che colpirebbe i bambini in età pediatrica.
Non si sa molto dell’eziologia di questa forma di epatite, e gli specialisti sono orientati sia verso un’origine virale della patologia che di una possibile esposizione tossica. Al momento non vengono identificati collegamenti con la vaccinazione contro il Covid-19.
Al momento, gli elementi distintivi sono l’età, tra i 3 e 6 anni, le transaminasi elevate, ittero in molti casi. Alcuni hanno riportato sintomi gastrointestinali, tra cui dolore addominale, diarrea e vomito nelle settimane precedenti, ma non accessi febbrili.
Dei 13 casi segnalati dalla Scozia, i primi registrati, per i quali sono disponibili informazioni dettagliate sui test, tre sono risultati positivi al Sars-CoV-2, cinque sono risultati negativi, due hanno avuto un’infezione nei tre mesi precedenti la presentazione. 11 di questi 13 casi hanno avuto risultati per il test dell’adenovirus e 5 sono risultati positivi.
L’attenzione aumenta a partire dallo scorso 5 aprile, quando il Regno Unito segnala un aumento dei casi di epatite acuta di eziologia sconosciuta tra bambini precedentemente sani di età inferiore a 10 anni provenienti dalla Scozia; un dato che viene aggiornato il 12 aprile, quando sempre le autorità sanitarie britanniche riferiscono ulteriori 61 casi oggetto di indagine su tutto il territorio, con una incidenza elevata tra i bambini di età compresa tra 2 e 5 anni.“Certamente ci sono stati casi di epatite acuta severa in alcuni centri, che però non sono necessariamente legati a questo allarme. Dobbiamo capire anche se c’è una maggiore concentrazione di casi. Al momento non lo sappiamo – ha spiegato il direttore del reparto di Epatogastroenterologia e trapianti di fegato del Bambino Gesù di Roma, Giuseppe Maggiore – Siamo vigili e monitoriamo con grande attenzione”.
L’Ecdc ha segnalato che si tratta di casi di epatite non classificata tra quelle ad oggi conosciute.
“Al momento definiamo queste forme nel gruppo delle cosiddette epatiti “non A-non E” – ha osservato l’epatologo del Meyer di Firenze, Giuseppe Indolfi – ovvero non ricomprese nelle forme più diffuse e meglio conosciute (appunto A, B, C, D ed E). Purtroppo non si è in grado di dire quale sia l’agente patogeno che le provoca, manca quindi un marcatore che permetta di riconoscerle con certezza”.
L’OMS ritiene prioritario “determinare l’eziologia di questi casi per guidare ulteriori azioni cliniche e di salute pubblica”. Intanto sono saliti a 108 i casi conclamati di questa patologia, il 77% di questi positivi all’adenovirus. In 8 pazienti, il decorso è stato tale da richiedere il trapianto di organo.