La celiachia è una delle patologie più sottostimante in Italia. Si tratta di una malattia permanente, con reazione auto-immune al glutine (che è la componente proteica di alcuni cereali). Anche se è una percezione comune a molti, soprattutto negli ultimi anni, che il dato di incidenza sia in aumento, i numeri ufficiali raccontano che nel nostro paese la media di chi ne soffre sia di oltre lo 0,4% più bassa rispetto al resto dell’Occidente.
È lo stesso Ministero della Salute che vorrebbe far chiarezza sull’effettiva incisività di questo problema, di cui sempre più persone affermano di soffrire. L’ipotesi di partenza è che nonostante l’aumento delle diagnosi, non si sia ancora arrivati a identificare tutti i pazienti celiaci. È accertato peraltro che una percentuale non indifferente di persone la celiachia se la sia autodiagnosticata, senza specifici consulti medici. Ma ci sono anche molti casi che restano silenti, nonostante i problemi di salute che derivano da questa patologia creino situazioni invalidanti e propedeutiche a patologie più gravi.
Per i celiaci il glutine è un vero e proprio killer silenzioso. Non c’è infatti una cura per la celiachia; in altre parole, non si “guarisce”. Le persone affette da questa malattia devono seguire uno stretto regime alimentare assolutamente privo di una gran quantità di cibi, i più noti dei quali sono la pasta e il pane (ma non sono certo gli unici). Ciò permette di far sparire i sintomi, ma se si torna ad assumere glutine, essi si ripresentano invariati. Statisticamente comunque solo il 3% della popolazione mondiale è portatrice della predisposizione genetica che induce questa patologia, ma non tutti, pur consumando glutine nella vita, sviluppano poi effettivamente la malattia. Esistono diverse teorie, tutt’oggi allo studio dei ricercatori, su quali siano i fattori scatenanti. Al momento però dati definitivi che raccontino a 360 gradi ogni aspetto di questa patologia non esistono.
Anche per questo motivo sarebbe necessaria una più ampia sensibilizzazione della popolazione su questa malattia. La data del 16 maggio, in cui ricorre proprio la “Giornata internazionale per sensibilizzare la popolazione sulla celiachia”, è una prima risposta a questa esigenza.
“Probabilmente giornate di informazione come questa, rivolte alla platea studentesca, potrebbero aiutare”, sostiene il Professor Marco Marchetti, docente di Merceologia degli Alimenti e di Chimica Farmaceutica nel Corso di Laurea Magistrale in Scienze della Nutrizione Umana all’Università UniCamillus. Con lui abbiamo voluto provare a fare chiarezza su alcuni aspetti di questa malattia e dare il nostro contributo per diffondere maggiore consapevolezza sul tema. “Per fare un primo passo avanti, sarebbe molto bello ad esempio riuscire a portare a conoscenza tutte le persone del fatto che non c’è necessariamente bisogno di utilizzare cibi preparati ad hoc per i pasti, con conseguente separazione e distinzione; ma possono essere utilizzati alimenti già di per se naturalmente privi di glutine, che consentirebbero una convivialità maggiore, poichè destinati a tutti, senza distinzioni. Il primo esempio che viene in mente è il riso”.
È pur vero però che molte persone non sono adeguatamente informate sui rischi che corre un celiaco. “Le principali criticità risiedono nelle contaminazioni – avverte il Professore – Non basta utilizzare prodotti preparati per celiaci o naturalmente privi di glutine. È necessario anche un attento e rigoroso rispetto delle norma di preparazione, che non possono in larga parte prescindere da due luoghi fisicamente distinti e distanti per l’allestimento dei piatti”.
Dai dati a disposizione sembra inoltre che le donne siano più predisposte degli uomini alla celiachia. Se ci sia o meno un motivo specifico per questa maggior incidenza però non è ancora chiaro. “Si è vero, c’è una maggioranza di donne tra le persone affette da questo problema. Probabilmente è perché il sistema immunitario femminile, sotto questo aspetto, appare più aggressivo. Altrettanto vero però è che, in generale, non solo riguardo alla celiachia, il sistema immunitario femminile è più pronto e performante anche in funzione del parto. Di fatto quindi non c’è chiarezza sulle ragioni di questa correlazione”. Lo stesso professor Marchetti ha poi citato un altro esempio di correlazione statistica, sempre relativa alla celicachia, che però non ha ancora trovato evidenze sufficienti per formulare una teoria specifica a riguardo. Si tratta della frequente compresenza di questa patologia con il diabete di tipo 1. “Che ci sia una correlazione è chiaro ed evidente anche in termini di percentuali – evidenzia il Professore – Ad oggi però non vi è consenso unanime circa la ragione alla base di ciò. Una alterazione del funzionamento del sistema immunitario sembra che possa giocare un ruolo, ma una dimostrazione vera e propria ancora non c’è”.