Il boom del ricorso alla medicina estetica preoccupa i professionisti del settore. I dati che sono emersi nell’ultimo congresso della SIME (Società Italiana di Medicina Estetica), intitolato “Immagine, Etica e Scienza”, che si è tenuto a Roma i primi di maggio 2024, non mentono: il volume di affari in questo campo è in netta crescita, con circa 14 miliardi di dollari movimentati da tutto l’indotto nel 2022 e una stima che vede toccare i 23,4 miliardi entro il 2027. Circa l’80% delle richieste di interventi arriva dal pubblico femminile, ma sono in forte aumento anche da parte degli uomini (+25% dal 2008 a oggi). Numeri alimentati anche dalle spinte più o meno subliminali che arrivano dalla quotidianità, con una vita sociale sempre più mediaticamente esposta al giudizio esteriore da parte degli altri. I social media in particolare giocano un ruolo fondamentale in questo meccanismo, che spinge sempre più persone a far ricorso alla chirurgia plastica.
“Un così grande aumento del ricorso alla medicina estetica rappresenta un serio problema – ha ammonito il presidente della SIME, Emanuele Bartoletti – perché aumentano di conseguenza i rischi di incontrare medici eccessivamente accondiscendenti o, peggio, persone non qualificate che senza alcuno scrupolo eseguono trattamenti privi di senso”. Sulla stessa lunghezza d’onda è anche la Professoressa Barbara Cagli, docente di Chirurgia Plastica presso l’Università UniCamillus e autrice di oltre 50 articoli scientifici su riviste indicizzate, riguardo l’attività clinica di chirurgia estetica e ricostruttiva. “La competenza del professionista a cui ci si rivolge è un punto fondamentale. Uno specialista serio e preparato ha il dovere di dire di no a richieste di intervento dei pazienti che non siano effettivamente corrette rispetto al reale motivo della richiesta. Esiste un codice deontologico della nostra professione e seguirlo fa parte del nostro lavoro”.
Il chirurgo plastico infatti, giova ricordarlo, è un medico altamente specializzato. Un professionista che dopo aver conseguito una Laurea in Medicina e Chirurgia, si specializza e si forma per 5 lunghi anni in Chirurgia Plastica, Ricostruttiva ed Estetica. “Non si deve demonizzare il concetto di ‘estetica’, ma va sottolineato che uno specialista è ben diverso da chi si improvvisa tale – spiega la Professoressa Cagli – Si parla prima di tutto un tempo di formazione diverso: un conto sono i cinque anni di studi di formazione specialistica, un altro sono la frequentazione di un master o qualche corso di formazione. Il punto nodale risiede nella legge italiana che non prevede la necessità di essere già medici specialistici per poi poter praticare la medicina estetica”.
Un aspetto in particolare sta particolarmente a cuore alla docente di UniCamillus: “Il chirurgo plastico non è solo quello che fa il ritocchino o la punturina. Fa anche quello. Ripeto, non bisogna demonizzare nulla a prescindere e non c’è da vergognarsi di fare le iniezioni di acido ialuronico. Io stessa le eseguo quando indicato ai miei pazienti. Ma bisogna sempre interrogarsi su come si fanno e che preparazione ci sia dietro ogni azione medica. Anche perché anche una fiala iniettata non correttamente può creare dei problemi ad un paziente. La chirurgia plastica peraltro, come le altre forme di chirurgia, è inevitabilmente gravata dalla possibile insorgenza di complicanze. Per questo, a maggior ragione, è fondamentale affidarsi a specialisti, che abbiano davvero la preparazione per affrontare una procedure chirurgica o medica su un paziente, non guardiamo solo quanti follower abbia uno specialista ma perdiamo qualche minuto a leggere il suo CV”.
Dal medesimo rapporto della SIME emerge anche un altro dato che dovrebbe far scattare un campanello d’allarme sulla direzione che sta prendendo la nostra società: circa il 45% di coloro che si rivolgono alla medicina estetica sono giovani compresi tra i 19 e 35 anni. Se però è vero, come sostiene il Professor Bartoletti, che “è importante fare attenzione alla dipendenza dei giovani da questo tipo di terapie, perché sta diventando sempre più preoccupante e li espone al rischio di sottoporsi a trasformazioni di cui potrebbero pentirsi in seguito”, altrettanto fondamentale è sviscerare da questi numeri tutte quelle realtà che vanno ben oltre l’apparenza.
“Sicuramente c’è un problema della nostra società che tende a dare peso più all’apparenza che alla sostanza – dice ancora la Professoressa Cagli – Ma il discorso può essere visto da tanti punti di vista. Sicuramente l’apparenza estetica non è un qualcosa che andrà a sparire nei prossimi anni; al contrario, il trend di crescita degli interventi sarà sempre più da intendere come un bisogno legato all’allungamento della vita, al voler essere in forma e prendersi cura di se stessi. Il benessere psicofisico, come dice anche l’OMS, rientra infatti nello stato di salute di una persona: il sentirsi bene con sé stessi aiuta a stare meglio”.
In sostanza, non si può fare di tutta l’erba un fascio, perché non tutti gli interventi di chirurgia plastica sono esclusivamente finalizzati a un discorso meramente estetico, fine a sé stesso. E su questo la Professoressa di UniCamillus ha voluto fare chiarezza: “Una cosa sfugge a molti. Anche la chirurgia estetica ha un importantissimo valore terapeutico. Dietro al dato di quante persone giovani ricorrono alla chirurgia plastica e alla medicina estetica, ci sono in realtà tantissime situazioni diverse. E in molti casi gli interventi aiutano a stare meglio, dal punto di vista psicofisico migliorando la qualità di vita dei pazienti e conseguentemente la loro sfera emotiva: un esempio è quello degli interventi su seni malformati o troppo grandi, che provocano disagi in alcune donne, si parla sempre troppo poco di quanto questi interventi rappresentino una rinascita per queste pazienti. Una donna affetta da gigantomastia, cioè con un seno di proporzioni molto più grandi rispetto al torace, si trova in alcuni casi impossibilitata persino a fare sport, oltre a provare situazioni di forte disagio, magari non potendo indossare il costume al mare. Ma anche interventi come l’otoplastica, per chi ha le cosiddette ‘orecchie a sventola’, o la rinoplastica per intervenire su chi ha ad esempio problemi di respirazione, sembrano tutti interventi futili, ma in realtà non lo sono affatto. Hanno anzi un chiaro risvolto funzionale e terapeutico. In questo senso, bisogna iniziare a contestualizzare meglio l’idea di medicina e chirurgia estetica”.