Diabete di tipo 2: pandemia globale destinata a raggiungere numeri preoccupanti. Quali soluzioni?

Ne abbiamo parlato con la Prof.ssa Rosa Maria Paragliola, Docente di Endocrinologia presso l’Università UniCamillus

Nell’ultimo ventennio, le persone affette da diabete di tipo 2 sono passate da 150 milioni a più di 350 milioni. E purtroppo i numeri sono destinati a salire: basti pensare che l’OMS e l’International Diabetes Federation stimano un aumento di pazienti che supereranno i 640 milioni in tutto il mondo entro il 2030. Non è un caso che si parli di “pandemia globale”.

In Italia i numeri non sono da meno, considerando che i pazienti diabetici corrispondono al 6% della popolazione, con 73 decessi al giorno correlati alla patologia.

Un dramma per il singolo paziente, per le famiglie e i caregiver, ma anche dal punto di vista sociale: il carattere di cronicità del diabete lo rende un enorme carico economico sul Sistema Sanitario Nazionale, soprattutto considerando la comorbilità correlata al diabete, con problemi che vanno ad intaccare cuore, sistema vascolare, reni e vista.

Oltre ai fattori genetici ed ereditari, tra le cause del diabete di tipo 2 si annovera anche uno stile di vita scorretto, caratterizzato da cattiva alimentazione e sedentarietà, con conseguente obesità o sovrappeso, uniti a fumo e alcool. Non è un caso che in una società del “benessere” (con abuso alimentare e scarsi sforzi fisici connessi) vi sia un aumento esponenziale di questo problema.

L’età che avanza, ovviamente, non aiuta: se si analizzano i dati raccolti dai sistemi di sorveglianza PASSI e PASSI d’Argento – coordinati dall’ISS e dalle Regioni – nel periodo 2016-2022 su 285 mila adulti italiani, si scopre che la percentuale dei pazienti affetti da diabete cresce notevolmente con l’avanzare degli anni: se prima dei 50 anni resta sotto il 5%, verso gli 80 anni arriva al 23%.

Per analizzare meglio cause e possibili soluzioni, abbiamo intervistato la Prof.ssa Rosa Maria Paragliola, Docente di Endocrinologia presso l’Università UniCamillus.


In soli vent’anni nel mondo le persone affette da diabete sono più che raddoppiate, raggiungendo cifre esorbitanti. Cosa pensa delle recenti tendenze di aumento dei casi di diabete sia a livello nazionale che globale? Quali fattori principali contribuiscono a questo aumento?

«Il diabete è una malattia cronica caratterizzata dalla presenza di iperglicemia, ossia elevati livelli di glucosio nel sangue. La forma più frequente di questa condizione è il cosiddetto “diabete di tipo 2”, caratterizzato da una difficoltà, da parte dell’organismo, di utilizzare correttamente l’ormone insulina. L’insulina è prodotto dal pancreas, e consente al glucosio di entrare nelle cellule dell’organismo per poter essere utilizzato come fonte di energia.

Il numero di persone affette da diabete sta progressivamente incrementando nel corso degli anni, e questa tendenza rappresenta un importante problema sociale, se consideriamo tutte le complicanze alle quali il diabete può associarsi. A parte le complicanze acute (che nei casi più gravi possono portare addirittura al coma), nel corso degli anni possono verificarsi complicanze croniche che coinvolgono diversi organi e tessuti, come gli occhi, i reni, i nervi e i vasi sanguigni, con rischio di perdita delle capacità visive, alterazioni della funzione renale, malattie cardiovascolari, danni agli arti.

I fattori che predispongono al rischio di diabete, e in particolare del diabete di tipo 2, sono molteplici. Sicuramente un contributo importante va cercato nei fattori genetici e nella predisposizione familiare, ma è essenziale sottolineare il ruolo esercitato da stili di vita non corretti, che purtroppo rientrano nelle moderne abitudini di vita.  Una dieta caratterizzata da un eccesso di zuccheri, carboidrati raffinati e grassi e povera di fibre, aumenta il rischio di diabete. L’obesità e la sedentarietà contribuiscono altresì al rischio di diabete, riducendo la sensibilità dei tessuti all’insulina. Abitudini deleterie per la salute sono anche il fumo di sigaretta e l’abuso di alcolici che, oltre a rappresentare fattori di rischio per altre patologie croniche, influiscono negativamente anche sul rischio di diabete. Purtroppo anche alcuni farmaci, tra cui i cortisonici, possono aumentare il rischio di alterazioni della glicemia. Infine va considerato che, con l’aumento dell’aspettativa di vita, una percentuale maggiore della popolazione raggiunge età più avanzate: poiché il rischio di diabete di tipo 2 aumenta con l’età, l’aumento della popolazione anziana comporta inevitabilmente un numero maggiore di casi di diabete.»


Partiamo dalle istituzioni. Quali strategie ritiene che le istituzioni possano attuare nel migliorare la gestione del diabete nel paese?

«La promozione di campagne di sensibilizzazione su questa malattia rappresenta un elemento chiave per migliorare la gestione del diabete. È importante che la popolazione sia chiaramente informata sui fattori di rischio e le complicanze del diabete e che, soprattutto, sia sensibilizzata sull’importanza della prevenzione, che consiste nell’adozione di stili di vita salutari (dieta equilibrata, attività fisica, astensione dal fumo). Questi programmi andrebbero promossi a partire dall’età infantile attraverso progetti educativi nelle scuole, finalizzati a favorire la scelta di cibi salutari, secondo i principi della dieta mediterranea, e a bandire l’uso di cibi processati, ricchi di zuccheri “nascosti” e che aumentano il rischio di sovrappeso e obesità.  

Sarebbe altresì utile proporre delle campagne di screening per diagnosticare precocemente il diabete, soprattutto in presenza di fattori di rischio (familiarità, sovrappeso, obesità, uso di farmaci che possono aumentare il rischio di diabete).»


Un tema importante è il coinvolgimento delle persone con diabete in programmi educativi. Quali sono le difficoltà che un medico si trova ad affrontare in questo senso?

«L’educazione dei pazienti affetti da diabete è un elemento tanto importante quanto complesso e rappresenta una costante sfida per il medico. Le difficoltà maggiori sono rappresentate, in molti casi, dalla scarsa accettazione della malattia da parte del paziente, dalla presenza consolidata (e difficile da eliminare) di stili di vita non adeguati e dalla mancanza di un contesto sociale e familiare di supporto. Talora, anche la mancanza di comunicazione tra diversi specialisti coinvolti nella gestione del paziente rappresenta un’importante barriera. In primo luogo, il professionista sanitario deve perseguire la costruzione di un dialogo efficace con il paziente: le informazioni mediche vanno trasmesse con chiarezza, semplicità ed empatia, dedicando il tempo adeguato nel corso della visita medica e utilizzando eventualmente altri canali di informazione. Sarebbe altresì importante coinvolgere i familiari dei pazienti, sensibilizzando in merito all’importanza di aderire alla terapia e di seguire stili di vita adeguati, nonché promuovere un percorso di collaborazione multidisciplinare tra i diversi professionisti sanitari che gestiscono il paziente.»


Quali sono i primi sintomi da non sottovalutare?

«I sintomi del diabete da non sottovalutare sono quelli indicativi di una condizione di iperglicemia. In particolare, è importante notare la presenza di sete eccessiva , l’aumento della frequenza delle minzioni e la produzione di elevate quantità di urine: la comparsa di questi disturbi deve indirizzare ad ulteriori valutazioni.»  


Considerando che il diabete è una patologia cronica, quali sono i controlli a lungo termine da eseguire?

«Un paziente diabetico deve effettuare una serie di controlli regolari, allo scopo di mantenere valori di glicemia nei limiti e di prevenire o diagnosticare precocemente le complicanze. In primo luogo, è utile che il paziente impari a controllare la glicemia con il glucometro, ovvero  un semplice strumento che consente una rapida misurazione della glicemia a domicilio, e a monitorare il peso corporeo. È poi indicato sottoporsi a periodici esami di laboratorio (sangue, urine) per controllare i livelli di glicemia, emoglobina glicata, funzione renale, livelli di colesterolo. È altresì importante monitorare la pressione arteriosa ed effettuare abituali controlli clinici e strumentali per controllare la salute del cuore, dei vasi, degli occhi e degli arti inferiori. In particolare, l’ispezione regolare dei piedi è utile al fine di diagnosticare precocemente eventuali infezioni o danni a carico dei nervi.  La frequenza dei suddetti controlli può variare sulla base alle condizioni e della storia individuale di ciascun paziente e va stabilita dal clinico curante.»


In che modo il fumo è correlato al diabete?

«Il fumo aumenta del 30-40% il rischio di sviluppare il diabete di tipo 2, e riduce notevolmente l’aspettativa di vita. Questi rischi sono direttamente proporzionali al numero di sigarette che si fumano e agli anni di abitudine tabagica. La sostanze chimiche contenute nelle sigarette determinano una condizione infiammatoria che danneggia l’attività dell’insulina. In particolare, la nicotina interferisce con specifici meccanismi a livello del cervello, che regolano a loro volta il rilascio degli ormoni insulina e glucagone, responsabili del mantenimento di adeguati livelli di glicemia. Questo è vero anche per i pazienti diabetici fumatori in trattamento con insulina, che richiedono spesso dosi maggiori di farmaco per controllare la glicemia. Inoltre, il fumo rappresenta un fattore di rischio ulteriore per le complicanze associate al diabete: i fumatori vanno più frequentemente incontro a patologie che coinvolgono cuore, reni, vasi sanguigni, occhi e nervi, attraverso l’azione infiammatoria dei prodotti di combustione delle sigarette. Il fumo aumenta il rischio di infezioni ed ulcere, che a loro volta sono causa frequente di amputazioni. Inoltre, la nicotina favorisce l’accumulo di grasso a livello addominale, che a sua volta si associa ad una ridotta sensibilità all’azione dell’insulina. La cessazione del fumo è di vitale importanza per ridurre tutte le complicanze associate al diabete, e fa parte degli strumenti terapeutici da adottare nella gestione di questa condizione.»


Considerando il panorama attuale e le sfide future, quali sono le sue principali raccomandazioni per i responsabili politici e gli operatori sanitari per affrontare la crescente epidemia di diabete in Italia e nel mondo?

«Affrontare la dilagante epidemia di diabete richiede multipli approcci che coinvolgano sia la politica che tutte le istituzioni che regolano le attività del settore sanitario. A livello operativo, le azioni andrebbero rivolte sia alla popolazione che agli operatori sanitari. L’investimento più importante è sicuramente nella prevenzione. Come già sottolineato, la popolazione va sensibilizzata ed educata in merito ai rischi deleteri del diabete e all’importanza di seguire uno stile di vita sano, sin dall’età scolare. Scoraggiare l’uso di cibi “obesogeni”, che aumentano il rischio di sindrome metabolica, e promuovere abitudini dietetiche salutari, rappresenta una delle più grandi e complesse sfide per le politiche alimentari. Inoltre, essendo cruciale giungere a una diagnosi precoce sia del diabete che delle sue complicanze, andrebbero potenziale le campagne gratuite di screening, soprattutto nelle popolazioni a rischio. È essenziale che le istituzioni politiche vigilino, affinché l’accesso alle visite mediche e alle terapie sia costantemente garantito dal Servizio Sanitario Nazionale, soprattutto per le fasce di popolazione meno abbienti, e sarebbe utile investire anche in programmi di sostegno educativo per il paziente e i suoi familiari, finalizzati a migliorare le capacità di autogestione della malattia. Gli operatori sanitari devono ricevere un costante aggiornamento teorico e pratico sulla gestione del diabete, che punti anche a migliorare le strategie di comunicazione per ottimizzare il rapporto medico-paziente e la collaborazione multidisciplinare. Investire nella ricerca sul diabete e nello sviluppo di nuove tecnologie a supporto della medicina, consentirà, infine, sia di approfondire le conoscenze sui meccanismi alla base della patologia e delle sue complicanze che a migliorare l’approccio terapeutico, la gestione e la qualità di vita del paziente.»