Ne abbiamo parlato con Giuseppe Fernando Colloca, docente di Geriatria presso l’Università UniCamillus
Aumenta l’aspettativa di vita, e di conseguenza aumentano gli anziani. Questo si traduce anche in un aumento del tasso di declino cognitivo, che in fondo è un processo naturale legato all’età, e che consiste nel graduale rallentamento di memoria, attenzione e velocità di pensiero.
Questi cambiamenti fisiologici non si traducono necessariamente in demenza: nel caso di quest’ultima (di cui la più comune è la malattia di Alzheimer), il deterioramento è più rapido e significativo, precludendo l’autonomia dell’individuo e la sua qualità di vita, e richiedendo cure mediche.
Senza arrivare a queste conseguenze estreme, in ogni caso, è importante “allenare” il cervello, per evitare che perda elasticità.
Come fare per ritardare il più possibile l’età pensionabile del cervello? Lo abbiamo chiesto a Giuseppe Ferdinando Colloca, docente di Geriatria presso l’Università UniCamillus.
Quali sono i cambiamenti più comuni nel cervello legati all’invecchiamento? E come si distinguono dalle varie forme di demenza?
«Se pensiamo all’invecchiamento come ad un processo continuo sin dalla nascita, possiamo comprendere meglio come anche la funzione cerebrale possa variare dall’infanzia, attraverso l’età adulta, fino alla vecchiaia.
Durante l’infanzia, le performance nel pensare e ragionare aumentano costantemente, permettendo al bambino di acquisire abilità sempre più complesse, laddove nell’adulto la performance cerebrale è relativamente stabile.
In questo processo di invecchiamento fisiologico, ad un certo punto inizia un calo della prestazione cerebrale, e il volume di alcune aree diminuisce fino all’1% all’anno in alcuni soggetti, ma senza alcuna perdita di abilità.
Interessantissimo è il Nun study, uno studio su una comunità di suore cattoliche seguite a partire dal 1986, che donarono il loro cervello alla scienza per valutare i processi d’invecchiamento e quelli che potevano comportare l’evoluzione verso la malattia di Alzheimer e le altre forme di demenza. In questo studio venne evidenziato come i cambiamenti patologici legati all’Alzheimer non sempre si esprimono con deficit cognitivi o comportamenti patologici. Si evidenziò come molte persone che si presentavano cognitivamente integre avevano nel cervello alterazioni compatibili con un Alzheimer avanzato. Questo è un segno della plasticità e della capacità di adattamento del nostro cervello.
I cambiamenti più comuni sono inizialmente la memoria a breve termine e la capacità di apprendere nuove nozioni che tendono a essere compromesse. Poi vengono ad essere intaccate le capacità verbali, mentre l’elaborazione di informazioni tende a mantenersi integra in assenza di disturbi neurologici o vascolari concomitanti.
Ridondanza, formazione di nuove connessioni e cellule nervose possono compensare queste perdite.
Nel caso di dubbi da parte dei familiari o della persona stessa, rivolgersi ad un esperto (geriatra o neurologo in una clinica della memoria) evitando il “fai da te”.»
Quali sono i sintomi iniziali delle malattie neurodegenerative a cui fare attenzione? C’è un modo per intervenire tempestivamente?
«Sia per i pazienti che per i medici, la preoccupazione maggiore è che la perdita di memoria sia il preludio della demenza. Classicamente le manifestazioni più frequenti riguardano la difficoltà nel ricordare i nomi o dove si trovino le chiavi della macchina o di casa. Ma la perdita di memoria non rappresenta l’insorgenza di una demenza! Nella maggioranza dei casi questo sintomo è legato ad altre cause. Altri segnali a cui fare attenzione sono depressione, confusione, cambiamenti di personalità, difficoltà nelle comuni attività del vivere quotidiano. Quando la perdita di memoria diventa più severa, le persone non si ricordano di pagare le bollette o quale sia la strada di casa, e possono incorrere in situazioni pericolose, come dimenticarsi di spegnere un fornello.
In tutti questi casi, tramite il proprio medico di base occorre valutare se affidarsi ad uno specialista per effettuare una valutazione multidimensionale ed eventualmente test neuropsicologici per identificare e gestire le possibili cause.»
Che tipo di attività consiglia per mantenere la mente allenata?
«Effettuare attività fisica regolare, avere una dieta sana con frutta e verdura abbondanti, dormire sufficientemente, non fumare, ridurre o meglio azzerare l’uso di alcol o altre sostanze.
Partecipare ad attività socialmente e intellettualmente stimolanti.
Leggere, imparare cose nuove (classicamente una nuova lingua o suonare uno strumento musicale), fare esercizi mentali (enigmistica, puzzle di parole, scacchi o altri giochi che utilizzano la strategia) sono tutte attività che sembrano stimolare la plasticità cerebrale e rallentare il declino cognitivo.»
Passiamo all’alimentazione: quali alimenti dovremmo privilegiare per migliorare la salute del cervello?
«Il cibo non è solo fonte di energia, ma anche cura e prevenzione: un’alimentazione corretta è una ricetta per la longevità. Frutta, verdura e cibi ricchi di antiossidanti aiutano a prevenire i processi infiammatori e quelli che accelerano l’invecchiamento. Acidi grassi omega-3 presenti nella frutta secca (noci, mandorle, semi di lino) e nel pesce azzurro hanno un ruolo importante nella plasticità neuronale.»
Quanto conta il tipo di vita che si conduce?
«Uno stile di vita scorretto, l’abuso di sostanze o farmaci e un’alimentazione errata sono correlati con molteplici fattori di rischio e, di conseguenza, con la possibilità di sviluppare una qualche forma di demenza. Il nostro stile di vita in qualunque fascia di età impatta su quello che sarà il nostro futuro.»
Vita sociale: quanto è importante e cosa consiglia al riguardo?
«Questa domanda mi porta alle Blue Zones, allarghiamo quindi il campo verso la longevità. Le Blue Zones sono quelle zone nel mondo in cui sono presenti gli individui più longevi e che, nel contempo, mantengono buone performance fisiche e cognitive. Con Italia Longeva, qualche anno fa, siamo andati a conoscere e studiare queste zone: il segreto della longevità sta in una combinazione tra stile di vita, socialità e semplicità. Vivere in una comunità, interagire con gli altri, essere attivi e partecipi previene lo sviluppo del deterioramento cognitivo e permette di mantenersi in salute. In Italia, un esempio di Blue Zone è Ogliastra in Sardegna.»