Ricorre oggi la memoria di San Camillo De Lellis, scomparso a Roma il 14 luglio del 1614 dopo aver dedicato buona parte della sua vita al culto della cura degli infermi. Fonte di ispirazione per l’attività di UniCamillus, l’importanza delle parole usate per descriverne le opere è fondamentale per comprendere quanto questa figura sia stata centrale nella storia dell’arte medica.
Non fu autore di grandi scoperte, ma ideatore delle Regole per Ben Servire gli Infermi: un insieme di linee guida per chi si prodiga nell’assistenza ai malati. Non a caso è considerato un precursore dell’attività infermieristica moderna. Soprattutto nella seconda parte della sua vita, fu cultore e testimone di come la pietà e la carità umana – principi che prescindono da qualunque forma di religiosità – nei confronti di chi versa in precari stati di salute siano elementi essenziali su cui imperniare ogni trattamento medico. «Più cuore in quelle mani, fratelli, più cuore!», andava predicando a chi, unendosi a lui, si adoperava nell’assistere i malati. Ed è proprio in questo senso che le sue azioni sono riconosciute come meritorie di Santità, al di là degli aspetti strettamente religiosi. Egli professava l’amore per la cura. Nella nostra Università, aconfessionale e a vocazione multiculturale, non si venera infatti la figura del santo cristiano, in senso stretto, ma si tramanda piuttosto il suo insegnamento di quale sia la maniera più propria di curare le persone.
Camillo De Lellis era nato nel 1550 a Bucchianico, in Abruzzo, proprio a ridosso della via Tiburtina, lungo la quale oggi si trova UniCamillus. Figlio di aristocratici, condusse una vita dissoluta fino ai 25 anni. Servì come soldato di ventura al servizio dell’imperatore Carlo V. Una ferita al piede lo condusse a Roma una prima volta nel 1571 e poi di nuovo nel 1575, sempre presso l’Ospedale San Giacomo degli Incurabili.
Rissoso, poco incline al lavoro e allo studio, dopo aver dilapidato i suoi beni fu costretto dalla malattia a trascorrere diversi anni a stretto contatto con altri malati e, soprattutto, con “il personale medico” dell’epoca. Il concetto di cura nei nosocomi del tardo ‘500 era decisamente più brutale di quanto si possa immaginare oggi. Specialmente verso i più poveri. L’esperienza vista e vissuta al San Giacomo cambiò quindi qualcosa in lui, facendo maturare la sua vocazione verso l’assistenza ai ricoverati. Nel 1582 fondò la “Compagnia dei Ministri degli Infermi”. Entrò in contatto con Filippo Neri (anche lui futuro Santo) e sotto la sua guida spirituale fu ordinato sacerdote nel 1583. La Compagnia attirò presto le attenzioni di molti, a Roma e non solo, per le azioni di bene di cui si rese protagonista (in particolare durante un periodo di carestia nel 1590). La notizia giunse all’attenzione di Papa Gregorio XIV, che decise di elevare la Compagnia a Ordine religioso. L’8 dicembre 1591 Camillo e suoi seguaci nel frattempo unitisi a lui pronunciarono i voti solenni e nacque così l’Ordine dei Chierici Regolari Ministri degli Infermi, tutt’oggi in attività e noti con l’eponimo di Camilliani.
Tra le regole diffuse da San Camillo, una in particolare ci sta particolarmente a cuore. Oltre alla pratica della carità e cura verso gli infermi, a chi si univa all’Ordine veniva richiesto di portare avanti “una adeguata cultura e preparazione scientifico-esperimentale“. Ed è questo il lascito che in UniCamillus abbiamo raccolto per formare le future generazioni di medici, infermieri e operatori sanitari.