Non curabile e non prevedibile, ma controllabile:
l’importanza della diagnosi precoce e di uno stile di vita adeguato.
Il 21 settembre 2023 cade la Giornata Mondiale dell’Alzheimer: questa data è stata istituita nel 1994 dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e dall’Alzheimer’s disease international (Adi).
È un’occasione che mira a focalizzare l’attenzione su una delle piaghe che più affligge l’età avanzata (pur non essendone diretta conseguenza), riducendo significativamente la qualità di vita di chi ne è affetto e minando la parte più essenziale della sua sfera emotiva e cognitiva: i legami con le persone amate e la sua personalità.
L’avanzamento della scienza e della medicina ha allungato l’aspettativa di vita, ma questo comporta anche maggiori probabilità di convivere con patologie croniche e degenerative, come le demenze, di cui l’Alzheimer è la forma più comune.
I dati, purtroppo, sono allarmanti e in crescita: secondo l’AIMA (Associazione Italiana Malattia di Alzheimer), in Italia i malati di Alzheimer sono circa 650 mila, curati a casa per quasi tutta la durata della malattia, che pesa anche economicamente sui familiari per l’80% del totale.
Nel mondo la situazione non è migliore: secondo l’OMS, più di 55 milioni di persone sono affette da una forma di demenza, e l’Alzheimer rappresenta la 7ma causa di morte.
Cos’è la Malattia di Alzheimer?
L’Alzheimer è un processo degenerativo che colpisce le cellule del cervello, andando ad intaccare le aree della memoria, del linguaggio e della percezione: tutto questo, lentamente ma inesorabilmente, porta ad un declino totale delle funzioni cognitive, oltre che al deterioramento della personalità e delle relazioni.
Per quanto sia più comune dopo i 65 anni, si registrano anche dei casi di malati di Alzheimer più giovani.
Inizia in modo subdolo con qualche difficoltà della memoria, spesso attribuita all’avanzare dell’età, ma poi comincia ad invadere tutta la vita del soggetto che ne è affetto.
Viene chiamata la “malattia delle quattro A”, proprio perché i suoi sintomi principali sono:
- Amnesia, ossia perdita di memoria, che in genere è la fase iniziale.
- Afasia, un disturbo del linguaggio che rende difficile comprendere i messaggi verbali e formularli. Spesso si accompagna anche alla difficoltà di trovare le parole giuste, sostituendole con altre inappropriate.
- Agnosia, disturbo della percezione che rende difficile riconoscere luoghi, cose e persone: è facile che un malato di Alzheimer possa perdersi senza riuscire ad orientarsi.
- Aprassia, ossia l’incapacità di compiere alcuni movimenti volontari e semplici, come vestirsi e provvedere alla propria pulizia.
Questi sintomi portano anche ad un cambiamento della personalità, con improvvisi sbalzi d’umore senza motivo apparente e con perdita progressiva di interesse verso ciò che prima provocava piacere, come hobby e attività. Inoltre, spesso il soggetto affetto da Alzheimer può essere depresso, ansioso e spaventato, perché non riconosce i propri familiari e il proprio ambiente, e si sente quindi circondato da persone che considera estranee.
Come diagnosticare la malattia di Alzheimer
«Da alcuni anni stiamo assistendo ad una possibile rivoluzione – afferma il Prof. Alessandro Stefani, docente di Neurologia presso i Corsi di Laurea in Medicina e Chirurgia, Infermieristica e Fisioterapia di UniCamillus – Accanto alla clinica (che rimane il faro del percorso diagnostico, inclusi i test neuropsicologici da ripetere periodicamente con personale specializzato), oggi disponiamo di marcatori affidabili: siamo in grado di identificare con anticipo alcuni dei “semafori” di patologia, in particolare l’alterazione di molecole per così dire “incattivite”, amiloide in testa». Oltre a questo modo per indagare i primi segni dell’Alzheimer, vi sono i controlli radiologici di routine. «Tra questi, la RMN, opportuna soprattutto quando la diagnosi differenziale è dubbia».
Cause: si può prevenire?
Non è una patologia che sembra avere una causa specifica: in genere sono presi in esame la storia familiare (il fattore genetico è associato al 10% dei casi), l’ambiente esterno ed elementi organici.
Attualmente, non vi è modo per prevenire questa patologia, anche se i medici raccomandano di condurre il più possibile uno stile di vita salutare. «Esiste una consapevolezza ormai acclarata che ogni processo di invecchiamento può trarre giovamento da una vita sana, con controllo assiduo dei fattori di rischio vascolare, imperniata su attività fisica e mantenimento/consolidamento di input culturali – afferma Stefani – Una quota importante delle demenze dipende anche da isolamento sociale e regimi di vita inadeguati».
Se si notano uno o più sintomi riconducibili all’Alzheimer, è necessaria una prima visita con il medico di base che potrà ritenere opportuno condurre ulteriori accertamenti, indirizzando dunque il soggetto ad uno specialista del settore: Geriatra, Neurologo, Psichiatra.
Terapie: si può curare?
La malattia di Alzheimer, allo stato attuale, non si può curare, ma si può controllare, cercando di ritardare il più possibile il suo avanzamento.
«Le terapie farmacologiche ad oggi disponibili vertono soprattutto su molecole che aumentano la disponibilità di acetilcolina, vuoi con le coline/citicoline di due generazioni orsono, vuoi con i cosiddetti inibitori delle colinesterasi – spiega Stefani – Funzionano? Poco, ma non possiamo farne a meno. Accanto a questo approccio vanno segnalate altre possibilità certificate, come la molecola memantina, che si presume argini la eccitossicità del glutammato. Alcune scuole accademiche provano a facilitare la trasmissione aminergica. Sul campo, esiste poi una pletora di proposte, incluse terapie non convenzionali. Va sottolineato, peraltro, che viviamo una fase critica: negli Stati Uniti, i cosiddetti anticorpi umanizzati (che dovrebbero impedire quegli accumuli di amiloide e quindi frenare l’evoluzione della malattia) sono nel pieno del dibattito. Molecole come aducanuman, ma specialmente lecanemab e donanemab hanno ottenuto (o quasi) approvazione e commercializzazione».
E in Europa? «Qui vi sono dei dubbi su tale strada immunologica – risponde Stefani – I costi?
Non banali. Siamo sul chi vive. Ne parlo diffusamente nella prefazione della seconda edizione di un mio libro Cervelli da Buttare? che Armando Editore darà alle stampe in ottobre».
Ma non solo farmaci: come afferma il nostro Docente, «esiste una linea di lavoro sperimentale che pratica la stimolazione magnetica. Vedremo se funziona sui grandi numeri e se davvero modula la plasticità sinaptica».
Il ruolo dei familiari e dei caregiver
Le giuste terapie possono migliorare considerevolmente la qualità di vita del paziente, correggendo in modo importante alcuni sintomi cognitivi e comportamentali. Fondamentale anche il giusto supporto dei familiari e dei caregiver, che rivestono un ruolo chiave nella sua vita relazionale e affettiva.
Essendo una condizione fortemente dolorosa e complessa, sia per chi ne soffre che per i suoi cari, la famiglia del paziente non deve essere lasciata sola in questa difficile gestione: un importante supporto si può cercare nei servizi territoriali di assistenza domiciliare, così come nelle associazioni di familiari di malati di Alzheimer – che forniscono informazioni utili e sostegno sociale – e in figure professionali qualificate, quali assistenti sociali e psicoterapeuti.
Anche se si tratta di una patologia non ancora curabile e prevedibile, la consapevolezza è importante per più di una ragione: innanzitutto può aiutare a non sottovalutare i primi sintomi, intraprendendo subito una terapia di controllo degli stessi; ancora, può evidenziare che si tratta di una patologia che grava prevalentemente sui familiari del malato, cercando così di stimolare iniziative volte a migliorare le condizioni difficoltose di chi si prende cura di un caro affetto da Alzheimer.