6 Febbraio, la Giornata contro le mutilazioni femminili: affrontare il tema per tutelare l’integrità della donna
Dal 2012, le Nazioni Unite hanno deciso di istituire la Giornata Mondiale contro le Mutilazioni Genitali Femminili. La dimensione di questo fenomeno si delinea da sola osservando i numeri. Nel mondo si stima che il numero di donne che convive con una mutilazione genitale ammonta a circa 125 milioni e che ogni anno quattro milioni di bambine siano a rischio di subirne, soprattutto in alcuni paesi africani.
Una recente indagine – condotta dal Dipartimento Pari Opportunità dell’Università Bicocca nel corso del 2019 – evidenzia la presenza in Italia al primo gennaio 2018 di 87mila e 600 donne escisse, di cui 7600 minorenni.
Secondo l’attuale segretario generale delle Nazioni Unite, Guterres, l’eliminazione delle MGF avrà un generale effetto positivo sull’empowerment delle donne “sebbene concentrate in 30 paesi dell’Africa e del Medio Oriente, le MGF sono un problema universale che persiste”.
All’interno del Goal 5 degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDGs) che racchiude tutte le azioni per il raggiungimento della parità di genere e l’empowerment di donne e ragazze, il target 5.3 è incentrato sull’eliminazione di tutte le pratiche dannose, incluse le mutilazioni genitali.
È comunque opportuno non confondere i princìpi religiosi e i Paesi dove le MGF sono ancora praticate. In maniera piuttosto sbrigativa si è teso a voler ricondurre alla norma coranica l’origine e la causa di questa forma di crudeltà. Ma se corrisponde a verità affermare che questo tipo di pratica era diffusa presso i popoli arabi pre-islamici, voler attribuire all’Islàm ogni responsabilità non è corretto.
A questo proposito conviene ricordare che nel 2006 una conferenza sulle mutilazioni sessuali nell’Islàm è stata appositamente convocata al Cairo. Al termine dei lavori fu approvato un documento comune che non solo condannò le MGF in tutte le loro forme, ma le definì come «una pratica estranea all’Islàm, che non trova alcun tipo di giustificazione nelle fonti giuridiche dell’Islàm, nel Corano, nella pratica del profeta Muhammad». Per allontanare ogni possibilità di dubbio, prese la parola l’allora Gran Muftì d’Egitto, lo Sceicco ‘Alì Goma’a che definì le MGF come una pratica abietta proibita senza alcun dubbio o esitazione dall’Islàm con il risultato che chi la compie si pone al di fuori dell’Islàm contravvenendo le norme coraniche.
Un rilievo particolare, in questo contesto delicato lo ricopre l’istruzione, che diventa uno strumento fondamentale per il superamento di questo fenomeno. Certamente l’istruzione è una delle chiavi di volta per sconfiggere il problema. Gli studenti dei corsi di UniCamillus affrontano nel loro percorso di studio molti temi etici su cui discutono, fra cui proprio le mutilazioni genitali femminili. Con la dissertazione di temi etici rappresenta diventa più semplice acquisire una propria opinione sugli argomenti trattati.
Purtroppo però ci sono donne, anche con percorsi formativi adeguati, che decidono di sottoporsi volontariamente all’escissione. Suscitò ad esempio grande clamore il caso di una ragazza ugandese di 26 anni, Sylvia Yeko, che, sfidando la legge e la riprovazione della famiglia, decise di farsi mutilare. Quello della Yeko, che si sottopone ad una pratica mutilatoria volontariamente, è un caso emblematico. Non solo perché si trattava di una donna con un certo livello di istruzione, ma perché sosteneva, con la escissione, di inserirsi nel solco della tradizione che andava difesa e coltivata.
Ecco che affiora il problema della tradizione in una visione assolutamente ad hoc. Non basta infatti invocare una generica difesa dei riti ancestrali per proteggere e tutelare una orribile barbarie come le MGF che hanno, inoltre, conseguenze psicologiche importanti. Non è infrequente che le donne che hanno subito mutilazioni possano soffrire di PTSD ( Post-traumatic stress disorder) cioè un disturbo che si sviluppa dopo l’esposizione a un evento traumatico. Lo stress psicologico derivante dall’essere sottoposta alla pratica di MGF può causare disturbi comportamentali. Le donne, inoltre, possono soffrire di ansia e depressione.
Arginare questo fenomeno è diventata una esigenza fondamentale per tutelare la salute, fisica e psichica delle donne che vengono private della loro femminilità. Il primo livello è rappresentato dall’aspetto normativo. Si tratta di leggi che appartengono a diverse esperienze nazionali. Ogni stato deve infatti, al suo interno, svolgere una attività di prevenzione, di divulgazione, di comunicazione. Non si tratta quindi solo di innalzare la soglia di conoscenze, ma di aiutare ad aumentare da un lato il livello di consapevolezza e dall’altro la nozione di rispetto che non è solo dell’altro ma certamente anche di se stessi.
Esiste poi una pluralità di progetti sul tema. L’UNFPA, ad esempio, di concerto con l’UNICEF, guida dal 2008 un progetto specifico che ha come destinatari 17 paesi dell’Africa e del Medio Oriente e sostiene anche iniziative regionali e globali.
Una specifica campagna di UNFPA, intitolata “a piece of me“, ha per obiettivo l’aumento della consapevolezza delle donne affinché esse possano assumere un ruolo attivo nell’azione diretta a arrestare questa pratica. Da ricordare è anche il network europeo END FGM, che si prefigge come obiettivo principale la realizzazione di “un’azione europea sostenibile” contro queste mutilazioni.
Da ultimo non si può non concludere queste brevi riflessioni senza far almeno un riferimento al sistema assiologico su cui è imperniata la società, anzi per meglio dire le società.
Se infatti è noto che ogni società è caratterizzata da un diverso sistema di valori, ci si chiede se i valori siano transeunti e modificabili ovvero se si debba parlare di una immodificabilità dei valori. Se da un punto di vista meramente giuridico il codice penale mira alla tutela dell’ordine pubblico, da un punto di vista filosofico si tende piuttosto alla tutela della morale che però è considerata in permanente evoluzione e in costante adattamento ai cambiamenti della società. Il dibattito non può sottendere una presunta superiorità di una tradizione su un’altra ma piuttosto la adozione di comuni valori che tengano sempre (pur nel rispetto delle peculiarità etniche) nella massima considerazione l’essere umano e il rispetto che ad ogni essere umano e alla sua integrità (non solo corporea) è dovuto.
Prof. L.E.Pacifici Noja, Moral Philosophy UniCamillus
Prof. Ugo G. Pacifici Noja, Direttore CIRS UniCamillus