Negli ultimi anni, le immunoterapie come CAR-T hanno portato la personalizzazione del trattamento a un nuovo livello. Queste cellule chimeriche vengono create dopo aver estratto i linfociti T del paziente (cellule specializzate del sistema immunitario), apportando loro modifiche in modo che riconoscano antigeni specifici sulla superficie delle cellule tumorali del paziente e reiniettandoli per eliminarli.
I CAR-T però hanno mostrato efficacia con i tumori liquidi, come la leucemia, ma non sono stati in grado di superare le barriere immunosoppressive che li disattivano prima di raggiungere i tumori solidi come i tumori pancreatici o il melanoma.
In questi ultimi giorni, sono stati resi noti sulla rivista Science i risultati di due studi testati su topi basati sulla biologia sintetica.
Nel primo, un team guidato da Ahmad Kalil, della Boston University, ha sviluppato una serie di interruttori genetici che vengono aggiunti alle cellule immunitarie umane e consentono di regolarne l’attività, facendole, ad esempio, iniziare la loro attività antitumorale in un momento specifico e che non agiscano solo nel momento in cui vengono iniettati nel paziente. Gli scienziati hanno progettato l’interruttore in modo che venga attivato da farmaci già approvati e che hanno dimostrato la loro sicurezza, come il grazoprevir, che serve per curare l’epatite C, l’afimoxifene, usato per il cancro al seno, o l’acido abscissico, un ormone presente nelle piante.
Nel secondo lavoro, un team guidato da Wendell Lim, dell’Università della California, San Francisco (USA), ha utilizzato recettori sintetici da aggiungere alle cellule CAR-T e quindi perfezionare i tempi dell’attacco dei linfociti migliorati. Questo nuovo punto di aggancio è servito al CAR-T per produrre l’interleuchina 2, una proteina che innesca l’attacco immunitario, ma solo quando c’era un contatto diretto con le cellule tumorali. Questa tecnologia da un lato ha ridotto i danni collaterali del bombardamento immunologico e dall’altro ha permesso di superare l’ambiente immunosoppressivo che protegge i tumori solidi e di ridurne le dimensioni nei topi che fungono da modello.
La combinazione di queste tecniche, se alla fine funzioneranno anche nell’uomo, sarà un modo per adattare le terapie a una malattia così dinamica come il cancro, mantenendo l’attività immunitaria nel tempo, intensificandola quando necessario e indirizzandola solo nei punti necessari senza danneggiare il paziente.
Oltre ai problemi tecnici, affinché questi tipi di trattamenti raggiungano molte persone, devono superare i costi di produzione. Ora, le terapie CAR-T costano centinaia di migliaia di euro e l’aggiunta della biologia sintetica non le renderà più economiche a breve termine.