In dieci anni, fra il 2010 e il 2019, si sono persi 25mila posti letto di ricoveri ordinari, da 215mila a 190mila; sono diminuiti gli istituti di cura passati da 1.165 a 1.054; e sono calati anche i dipendenti di oltre 42.300 unità, da 646mila a 603mila. Lo afferma il Forum delle Società scientifiche di Clinici ospedalieri e universitari (FoSSC) che fa anche i conti sui soldi: in dieci anni gli investimenti sulla sanità sono diminuiti di 37 miliardi di euro.
Il risultato diretto di queste scelte politiche è il collasso della rete ospedaliera che si è palesato in tutta la sua drammaticità in occasione della pandemia Covid-19. Al di là della iniziale mancanza di protocolli e cure adeguate per il Covid, quelle dei primi mesi quando non c’erano vaccini e si andava avanti un po’ a tentoni, non si può dimenticare come l’affollamento degli ospedali, nelle terapie intensive e nei posti letto ordinari, abbia avuto un riflesso diretto anche sui malati di altre patologie, spesso gravi, che sono rimasti indietro.
Francesco Cognetti, oncologo e coordinatore del Forum, sul Corriere della Sera è chiaro: “gli ospedali erano già al limite, fiaccati da anni di politiche miopi. Dopo la pandemia rischiano il collasso”.
Lo scorso 20 maggio, il Consiglio di Stato, ha dato il via libera alla riforma dell’assistenza territoriale da finanziare con i fondi del Pnrr: case di comunità per le cure domiciliari, integrazione fra assistenza sanitaria e sociale, digitalizzazione, coinvolgimento nella rete anche delle farmacie.
Il rischio però è che non basti e che, anzi, si finisca per contentarsi di questa territorializzazione, che dovrebbe incidere sulla vita quotidiana ma non sull’elemento emergenziale o di patologia grave, e poi rimanere con l’attuale rete per ospedali ed emergenze palesemente inadeguata. Per il FoSSC il primo passaggio deve essere l’aumento dei posti letto ospedalieri: la media europea è 500 ogni 100mila abitanti. Noi siamo ancora molto sotto i 350.