Ogni anno il 28 luglio viene celebrata la Giornata mondiale contro l’epatite, la seconda principale malattia infettiva killer dopo la tubercolosi. Secondo i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) infatti, le infezioni da virus dell’Epatite B (HBV) e C (HCV) coinvolgono provocano 1,4 milioni di decessi ogni anno.
In particolare, gli individui con un’età compresa tra i 45 e i 60 anni, presentano maggiori probabilità di venire a contatto con il virus. Il pericolo di contagio aumenta se si è stati sottoposti ad altri fattori di rischio tra cui interventi chirurgici e trasfusioni. Ciò si verifica inconsapevolmente poiché il gran numero di persone che vivono con l’epatite non sanno di esserne affetti.
Aumentare la consapevolezza e prevenzione della malattia, pertanto, risulta essere uno dei requisiti essenziali per limitare e, in alcuni casi, eliminare l’epatite virale.
Francesca Pica, Docente di Microbiologia nel Corso di Laurea in Medicina e Chirurgia di UniCamillus, fornisce delucidazioni riguardo a possibili controlli e riduzioni della patologia mettendo al centro la diagnosi e cura del paziente.
Perché è importante la Giornata Mondiale contro l’epatite?
Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), le epatiti virali rappresentano ad oggi uno dei principali problemi di sanità pubblica a livello mondiale. Oltre 300 milioni di persone nel mondo vivono con un’infezione cronica da epatite e più di un milione di questi ogni anno muoiono per problemi ad essa correlati. Diversi virus possono causare epatiti che differiscono a loro volta per patogenesi, epidemiologia, decorso ed esito clinico. Ma la dimensione del problema a livello globale è tale da richiedere un’attenzione unitaria, ed è questo il senso della celebrazione di questa giornata. La data scelta, il 28 luglio, è la data di nascita di Baruch S. Blumberg, premio Nobel nel 1975 per la scoperta del virus dell’epatite B e del relativo vaccino. Ogni anno ci si prefigge uno scopo particolare, si ragiona e si investe in un determinato progetto che possa produrre un avanzamento nell’affronto di questo problema.
Esiste una strategia globale per lo sviluppo di un approccio rivolto al controllo e alla prevenzione di questa infezione?
Certamente sì. La scelta degli obiettivi e delle azioni da intraprendere è concertata di anno in anno a livello mondiale. Ad esempio, essendo noto che milioni di persone affette da epatite virale non ne sono purtroppo consapevoli, la Giornata Mondiale contro l’Epatite di quest’anno ha come tema “Find the Missing Millions”, essendo rivolta proprio alla promozione di azioni concrete che consentano di identificare tutti questi “milioni mancanti” di individui infetti. L’obiettivo è ambizioso e coinvolge innanzitutto medici e scienziati ma tutte le componenti della società umana sono chiamate a fare la propria parte. Infatti, perché si possa affermare a livello mondiale una nuova cultura della salute sul tema specifico, che poi diventi però operativa ed efficace nei fatti e per tutti, c’è bisogno che i governi intraprendano azioni culturali, politiche ed economiche adeguate. Si tratta quindi di riconoscere la validità degli obiettivi ed investire energie e denaro nella loro realizzazione. Certo, si incontreranno delle resistenze da parte di alcune governi ma comunque vale sempre la pena tentare. Quest’anno poi abbiamo anche un altro obiettivo importante, quello di mantenere attivi i servizi di prevenzione e cura delle epatiti in tempo di COVID-19.
Quali sono i progressi e i risultati portati avanti, fino ad oggi, dalla ricerca?
La ricerca, di base e clinica, in questo settore ha fatto progressi rilevanti nelle ultime decadi e buoni risultati sono stati raggiunti proprio grazie all’azione combinata di vari tipi di intervento. Il miglioramento generale delle condizioni igienico-sanitarie, la vaccinazione obbligatoria per il virus B, la vaccinazione per il virus A, la maggior attenzione sui comportamenti a rischio, lo sviluppo di test diagnostici per lo screening ed il monitoraggio dei pazienti e l’introduzione dei nuovi farmaci ad azione antivirale diretta di seconda generazione (DAAs) che sono in grado di eradicare l’infezione da virus C, hanno permesso di ridurre la trasmissione delle epatiti virali, identificare i pazienti affetti e a rischio di riattivazione e disegnare protocolli di trattamento che si stanno mostrando efficaci. Espandere l’accesso ai test diagnostici ed alle cure resta lo scopo più importante per evitare le possibili gravi conseguenze di epatiti virali non riconosciute e/o non adeguatamente trattate, come la cirrosi epatica e l’epatocarcinoma.