Intervista a Silvia Riondino, Docente di UniCamillus
Anche quest’anno, nonostante il periodo in atto provocato dal Coronavirus, viene celebrata la campagna gratuita per la prevenzione del tumore al seno. Durante tutto il mese di ottobre la Regione Lazio garantisce la possibilità, a tutte le donne, di sottoporsi a visite senologiche gratuite nelle strutture sanitarie che partecipano a questo progetto.
Un’importante iniziativa che vuole essere ancora più forte durante la crisi sanitaria che ha provocato delle pesanti ripercussioni anche su malattie gravi come quella del carcinoma mammario. Secondo Komen Italia, infatti, durante i mesi di pandemia, gli screening al seno si sono notevolmente ridotti. Ciò significa che un numero elevato di donne affette da tumore al seno che avrebbero potuto ricevere una diagnosi in fase iniziale, si troveranno ad affrontare la patologia più avanti nel tempo e, pertanto, in uno stadio più avanzato.
Silvia Riondino è Docente di Oncologia nei seguenti Corsi di Laurea di UniCamillus: Fisioterapia, Infermieristica, Tecniche di Laboratorio Biomedico, Tecniche di Radiologia Medica, per Immagini e Radioterapia. Insegna anche Disfagie oncologiche per il Master On-line in Deglutologia e disturbi correlati dell’Ateneo.
La Professoressa in questa intervista evidenzia l’essenzialità di dedicare un mese intero ad una delle neoplasie più frequenti in assoluto e le problematiche che si sono riscontrate a causa del Coronavirus.
Quali progressi sono stati fatti negli ultimi anni nel campo della ricerca e della chirurgia per combattere il tumore al seno?
Direi enormi progressi. Per comprendere la dimensione del problema, in Italia ad una donna su otto viene diagnosticato un tumore al seno, corrispondente, secondo i dati dell’Associazione Italiana dei Registri dei Tumori (AIRTUM), a quasi un terzo di tutte le neoplasie femminili. E questi progressi hanno consentito ad un numero sempre maggiore di donne di venire diagnosticate in una fase precoce della malattia e a coloro che si presentano con uno stadio avanzato, di vivere più a lungo. La chirurgia è stata un pilastro del trattamento del cancro al seno per diversi decenni, rappresentando inizialmente l’unico trattamento nella gestione degli stadi iniziali. Negli ultimi decenni abbiamo assistito alla transizione da opzioni più radicali, come la mastectomia totale, ad approcci di tipo più conservativo. La scoperta di sottotipi della malattia, caratterizzati dall’espressione di determinate molecole, ha portato vantaggi significativi nel disegno della strategia diagnostica e terapeutica. La presenza dei recettori per gli estrogeni ed il progesterone identifica il sottogruppo maggiormente rappresentato (circa l’80%), che può essere efficacemente trattato con ormonoterapia. La presenza del recettore per il fattore di crescita epidermico umano (HER2) identifica un altro gruppo di pazienti che può essere trattato con farmaci diretti proprio contro questa molecola. Gli sviluppi della terapia personalizzata in base alla mutazione genetica hanno fatto sì che negli ultimi anni ci sia stata un’esplosione di nuovi farmaci che hanno mostrato una migliore efficacia in combinazione con approcci endocrini che, anche nei carcinomi mammari avanzati, permettono di prolungare la sopravvivenza e mantenere una discreta qualità di vita.
Ritiene che questo evento riesca ad aumentare la sensibilizzazione sull’importanza di prevenzione e diagnosi precoce di tale malattia?
L’incidenza del cancro al seno è in aumento nel mondo in via di sviluppo a causa dell’aumento dell’aspettativa di vita, dell’aumento dell’urbanizzazione e dell’adozione di stili di vita cosiddetti “occidentali”. Il ruolo che la prevenzione svolge nella riduzione del numero di morti per tumore è insostituibile. Prevenendo la comparsa del tumore si riduce non solo il numero di nuovi casi nella popolazione ma anche il numero di decessi ascrivibili ad esso. La prevenzione prevede diversi momenti di intervento. La prevenzione primaria si basa sull’eliminazione dei fattori di rischio, e sull’incremento dei fattori che possono risultare protettivi nei confronti dell’insorgenza della patologia (tra cui ricordiamo l’esercizio fisico regolare e una dieta sana). È, infatti, a tutti noto il ruolo predisponente esercitato da fumo e alcool sull’insorgenza della patologia tumorale, ma non viene sufficientemente sottolineata l’influenza negativa dell’eccedenza ponderale, essendo il tessuto adiposo la principale fonte di sintesi di ormoni estrogeni circolanti. In alcune pazienti considerate a rischio elevato, quali ad esempio coloro che hanno forme ereditarie o familiari di carcinoma mammario, si può anche prendere in considerazione l’impiego di farmaci in chemioprevenzione. Questo tuttavia non sempre garantisce che si riesca a prevenire l’insorgenza di un tumore. Qui entra in gioco un’altra modalità di prevenzione, detta secondaria, che permette la diagnosi precoce di tumori in uno stadio iniziale. Sicuramente la maggiore disponibilità di strumenti diagnostici permette di effettuare diagnosi precoci che, come tali, si associano ad una sopravvivenza maggiore. Secondo i dati dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM) una diagnosi di stadio 0, il cosiddetto carcinoma in situ, permette una sopravvivenza a 5 anni prossima al 100%. Iniziative divulgative e pratiche come il mese della prevenzione che consente di aumentare la consapevolezza circa l’incidenza della malattia e, ad un grande numero di donne, di accedere a programmi diagnostici in maniera più semplice, hanno ed avranno sempre un ruolo di estrema importanza.
Quali problematiche si sono amplificate con lo stato emergenziale sanitario da Coronavirus?
Indubbiamente la pandemia causata da COVID-19 ha avuto un impatto negativo a livello mondiale sui sistemi sanitari, che non erano abituati a far fronte ad una tale emergenza. La conversione in COVID HUB di ospedali che prima erano deputati alla gestione di pazienti con tutte le patologie, anche quelle oncologiche, ha causato una riassegnazione delle priorità ai pazienti COVID con conseguente rimodulazione ed inevitabile riduzione degli accessi dei pazienti con altre patologie, incluse quelle neoplastiche. La problematica legata al COVID è risultata duplice; da un lato infatti sono stati differiti gli interventi chirurgici, le visite ambulatoriali, i follow-up e, chiaramente, i programmi di screening che ne hanno risentito maggiormente. Dall’altro, alcuni pazienti oncologici sono risultati maggiormente a rischio di contrarre l’infezione da COVID-19 a causa della compromissione del loro sistema immunitario causata dalla presenza stessa della malattia e dalle terapie antineoplastiche in atto. Le maggiori società nazionali ed Internazionali (è appena terminato il congresso della European Society for Medical Oncology, ESMO) hanno approntato linee guida che permettano una corretta gestione dei pazienti in trattamento attivo, garantendo una fornitura di farmaci (nel caso di terapie orali) che copra più mesi, evitando loro di recarsi troppo frequentemente in ambiente ospedaliero e promuovendo misure quali la telemedicina.