Mercoledì 15 novembre, presso il Senato della Repubblica, si è tenuto il convegno “Digital Health 2023, la cardiologia del presente e del futuro“, promosso dal senatore Antonio Guidi, in collaborazione con ANIC (Associazione Nazionale Innovazione Cardiovascolare) e organizzato da DreamCom.
L’evento ha esplorato come la telemedicina, l’intelligenza artificiale e altre innovazioni tecnologiche stiano rivoluzionando la prestazione dei servizi sanitari, in particolare nella gestione delle malattie cardiologiche.
Uno degli interventi in programma è stato quello del Prof. Luca Weltert, cardiochirurgo nonché docente di Statistica Medica presso UniCamillus: “Digital Academy: quali vantaggi?”.
Abbiamo intervistato il Prof. Weltert proprio su alcune dinamiche più attuali, relative alla sanità digitale e declinate nella branca della Cardiologia.
Quali sono le attuali tecnologie nella digital health per il paziente cardiopatico? E quali vantaggi apportano rispetto al passato?
Innanzitutto occorre sottolineare che l’espressione “sanità digitale” è un contenitore che, al suo interno, non è ancora ben definito in quanto disciplina giovane. Di sicuro, quando si parla di sanità digitale, si allude in prima istanza a telemedicina, intelligenza artificiale, sistemi cloud centralizzati di dati.
La digital health sta risultando molto utile nel dare un riconoscimento maggiore a quell’ambito sanitario che è ancora privo di un’identificazione netta, ossia il “follow up”, com’è chiamato in medicina il controllo del paziente quando deve procedere con il mantenimento di una terapia assegnata in ospedale dopo che ha ricevuto una diagnosi o è stato sottoposto ad un intervento. Quando un paziente segue una terapia in ospedale, questa ha un esito, e fuori dall’ospedale viene seguito dal medico di base che, però, non ha in genere un rapporto diretto con i medici ospedalieri: per questo l’esito di quelle cure non è automaticamente noto per questi ultimi.
In Nord America le outpatient clinics hanno la stessa dignità degli ospedali per acuti, e la sequenzialità di queste visite è costante.
L’intelligenza artificiale, però, ci viene incontro nel momento in cui fa da tramite tra i medici ospedalieri e il paziente, interrogandolo direttamente sul telefono su eventuali sintomi e riospedalizzazioni. In questo modo, si fornisce una continuità assistenziale a chi ha erogato la prestazione originaria, che dunque la può valutare e quindi condividerla con i colleghi del territorio.
Potrebbe fare un esempio pratico di questo tipo di dispositivi?
Posso parlarle di un’app che ho contribuito a creare, e che raccoglie i dati di follow up dei pazienti cardiopatici come le stavo accennando. Quest’app è Med58: ho lavorato allo sviluppo di questo software di intelligenza artificiale, che UniCamillus sta cominciando ad usare in un’incarnazione personalizzata gratuita dal nome “UniCamillus Digital Health”, aperta agli studenti che, in questo modo, possono raccogliere informazioni per la tesi in un sistema cloud centralizzato che produce automaticamente delle statistiche.
Med58 è un software che alcuni ospedali romani hanno cominciato ad usare, un sistema per colmare quel gap che, allo stato attuale, ancora c’è, ossia la raccolta dati per il follow up del paziente, in modo da creare un tramite tra ospedali per acuti e territorio.
Oltre alle app di raccolta dati, in che modo la Cardiologia può sfruttare i benefici della sanità digitale?
In realtà, la prima branca correlata alla sanità digitale è la Radiologia. La Cardiologia, dal canto suo, si appoggia molto alla Radiologia: basti pensare, ad esempio, che la tradizionale tecnica di angiografia coronarica sta venendo affiancata dalle CardioTac, per vedere “dentro” alle coronarie. La Cardiologia, in questo “senso radiologico”, è quindi collegata indirettamente all’IA, utilizzata per criteri diagnostici.
Non è invece utilizzata per assegnare trattamenti ai pazienti: la formalizzazione della diagnosi è un atto che rimane umano. La macchina suggerisce alcune cose, ma non ha tutte le informazioni possibili per stilare anche un trattamento, e non ha elementi intuitivi prettamente umani. La macchina può aiutare il cervello umano, potenziare la velocità e la precisione dell’operato, ma non sostituirlo. La macchina di sicuro non si stanca, è veloce ed è più precisa, non ha le disattenzioni che può avere un umano: dobbiamo sfruttarne i vantaggi, ma non trattenerne i contro.
In medicina il rapporto con la macchina dev’essere di collaborazione, non di avvicendamento.
Poco fa ha parlato di Nord America. In Italia ci sono resistenze all’utilizzo dell’IA in ambito medico?
Bisogna fare una premessa: ci sono delle resistenze estreme o degli entusiasmi eccessivi perché l’IA viene raccontata dai media come una realtà pervasiva e quotidiana, che fa parte ormai della nostra società in modo abituale. In realtà non è così.
Detto ciò, in medicina ci sono due atteggiamenti diversi: i medici del territorio tendono a diffidare dell’intelligenza artificiale, mentre i medici ospedalieri vorrebbero adottarla maggiormente. Attualmente, è di sicuro più utilizzata nei centri di ricerca. Al contrario, nella gestione della grande pratica ospedaliera, i limiti strutturali dell’adeguamento tecnologico impediscono un’evoluzione in tal senso.
In questo, UniCamillus è pionieristica: come affermavo poco fa, si è dotata di una app che dà agli studenti una base dati di ateneo aggiornata in tempo reale, anonimizzata e rispettosa della privacy. In questo modo si dà la possibilità agli studenti stessi di compilare la tesi in modo ottimale e si investe sul futuro della formazione per renderla attuale già oggi nell’acquisire gli strumenti di domani.