L’influenza da virus Dengue è il nuovo spauracchio virale che spaventa il mondo. Tranquilli però, non si tratta di un Covid bis, per svariati motivi, ma soprattutto perché lo affermano con assoluta certezza virologi e scienziati. Non è però nemmeno un pericolo che si possa sottovalutare, visto che in alcune parti del globo si è già superato abbondantemente il milione di contagi e, nei casi più gravi, se non trattata con i giusti farmaci, questa malattia può portare anche alla morte.
La prima importante differenza con il virus Sars-Cov-2, la cui memoria è ancora fresca in tutti noi, è che si tratta di un agente patogeno già noto da secoli e per il quale esistono già cure e vaccini efficaci. Sappiamo inoltre che si tratta di una famiglia virale diversa: non un Coronavirus, ma un Flavivirus. L’infezione che colpisce l’essere umano è dovuta a 4 diversi sottogruppi di questo virus, denominati sierotipi 1, 2, 3 e 4 (DENV-1,2 3 e 4); ma qui c’è anche la seconda grande differenza con il Covid-19: la Dengue non si trasmette per via aerea. “La trasmissione da uomo a uomo è limitata a rarissimi casi – rassicura il Professor Antonino Di Caro, Professore ordinario di Microbiologia e microbiologia clinica presso l’Università Medica Internazionale di Roma UniCamillus – questi sono legati a trasfusione ematica e trapianti o a trasmissione madre-figlio in gravidanza, e non hanno una reale rilevanza nello sviluppo delle epidemie”. La diffusione su larga scala dell’infezione, spiega sempre il Professore, che per il suo servizio alla comunità durante la recente pandemia ha ricevuto anche un’onorificenza dal Presidente della Repubblica, è dovuta all’azione di alcune specie di zanzare del genere Aedes, volgarmente note come zanzare tigri. “Questi insetti sono in grado sia di trasmettere l’infezione all’uomo che di acquisire l’infezione da questo, durante le fasi acute della malattia. Si instaura così un ciclo di trasmissione bidirezionale tra uomo e zanzara, che mantiene e amplifica l’epidemia”.
I sintomi più diffusi della Dengue sono quelli comuni ad altre forme di influenza, con malessere generale e prostrazione. In genere si risolvono in pochi giorni. Sono peraltro possibili forme asintomatiche o, al contrario, sintomatologie prolungate. Le forme più gravi comportano interessamento neurologico e persino emorragie, ma sono per lo più dovute alle cosiddette reinfezioni (cioè che contraggono per la seconda volta l’infezione da virus Dengue, ma di un altro sierotipo). “L’influenza Dengue e il Covid-19 hanno sintomatologie simili, ma la Dengue può progredire verso una forma grave più rapidamente”, afferma la farmacologa Laura Scorzolini, Docente UniCamillus, Specialista in Malattie Infettive e collaboratrice del team di ricerca del Professor Nicastri, direttore della Divisione di Malattie infettive ad elevata intensità di cura dell’Istituto Lazzaro Spallanzani e anche lui docente UniCamillus. “Tali forme più gravi possono verificarsi in persone che hanno delle preesistenti condizioni cliniche morbose, quali patologie cardiovascolari, diabete o tumori; in presenza di coinfezioni, come per esempio Covid-19 e Dengue contemporaneamente; in gravidanza e in casi di depressione del sistema immunitario. Queste condizioni possono portare a complicazioni potenzialmente letali, come sanguinamento, insufficienza d’organo e shock. I sintomi gravi includono dolore addominale intenso, vomito persistente, difficoltà respiratorie, gengive sanguinanti”.
Al momento gli esperti in virologia concordano nell’affermare che circa la metà della popolazione mondiale è a rischio di contrarre la Dengue. Ogni anno si stimano tra i 100 e i 400 milioni di infezioni. Questa malattia – è importante sottolinearlo – rappresenta un pericolo significativo per le persone, ma limitato alle zone dove è divenuta endemica, cioè principalmente le aree urbane e semiurbane delle fasce tropicali e subtropicali del pianeta. Non a caso gli scenari peggiori in questo momento si stanno verificando in America Centrale e Meridionale e nel Sud Est Asiatico. Lì la situazione è preoccupante e, spiega ancora la Professoressa Scorzolini,“si tratta di una reale minaccia per la salute pubblica che richiede massicce misure di prevenzione e controllo dell’infezione, al fine di ridurre quanto possibile il rischio che la zanzara trasmetta l’infezione alle persone”.
In ogni caso, al momento, la preoccupazione che si riviva una situazione analoga a quanto avvenuto con il Covid-19 non ha basi solide. Pur tenendo presente che la natura è sempre capace di sorprendere, chi si occupa da vicino di questo virus assicura che, al pari di altri suoi simili, ha circolato per secoli e che, in assenza di trasmissione per via respiratoria, le epidemie sono in genere più contenute. La trasmissione attraverso un vettore animale fa sì che la velocità di trasmissione e pertanto il rischio di pandemia non sia paragonabile a quanto accadde nel 2020. Anche la mutazione del virus stesso con questo sistema di trasmissione risulta tra l’altro fortemente rallentata rispetto a quanto succedeva con il Sars-Cov-2. In più gli studiosi notano una tendenziale scarsa propensione delle nostrane zanzare a diventare vettori di questo virus. Non ci sono dunque elementi per considerare probabile uno scenario catastrofico come quello verificatosi nel recente passato.
Tuttavia non possono essere ignorati fattori come i cambiamenti climatici, i viaggi internazionali e le connessioni tra aree endemiche e non endemiche, che possono permettere la presenza di casi di Dengue sostanzialmente ovunque. L’esempio emblematico è il fatto che ne sia stata registrata la presenza nell’ultimo semestre del 2023 in Lombardia e nel Lazio, in persone che non avevano effettuato viaggi in zone tropicali. Ecco perché, evidenziano la Professoressa Scorzolini e il Professor Nicastri, “È importante che chiunque rientri da un paese endemico sensibilizzi il medico curante in caso di comparsa di sintomatologia simil-influenzale per escludere l’infezione da virus Dengue. Sono disponibili test diagnostici rapidi da effettuare, cui ci si può sottoporre anche nella maggior parte delle strutture sanitarie e nei pronto soccorsi, che possono garantire una diagnosi precoce e un trattamento adeguato nonché un maggiore controllo della trasmissione dell’infezione”. Prudenza quindi, ma nessun allarmismo. “Dobbiamo preoccuparci il giusto – chiosa il Professor Di Caro, che poi si associa in pieno alle indicazioni dei suoi colleghi – l’Italia ha una grande tradizione di collaborazione tra la sanità umana e quella veterinaria, e sono già stati predisposti piani di intervento basati sulla sorveglianza delle infezioni e nel controllo dei vettori. Da parte mia una raccomandazione anche alla cittadinanza e ai colleghi medici: visto che la diagnosi può essere eseguita anche presso strutture private, bisogna segnalare tutti i casi sospetti o accertati. La lotta locale ai vettori, da eseguire vicino ai luoghi dove il malato si è potuto infettare, è di notevole importanza per contenere la diffusione dell’infezione ed è compito della sanità pubblica farla”.