Parla Claudio Puoti, Docente di UniCamillus
Dopo aver dato al mondo intero l’illusione che la pandemia stesse rallentando e la speranza che dopo l’estate potesse estinguersi, il SARS-CoV2 si è rimesso a correre, mietendo di nuovo migliaia di vittime e diffondendosi a macchia d’olio.
Abbiamo di fronte un nemico temibile, vecchio e nuovo al tempo stesso: vecchio perché appartiene alla famiglia dei Coronavirus, noti da oltre 60 anni come agenti di forme respiratorie minori; nuovo perché ha subito delle mutazioni che gli hanno permesso il “salto di specie” dal pipistrello all’uomo, dilagando in popolazioni “vergini” che non lo avevano mai incontrato.
A poco sono valsi gli sforzi sinora profusi in tutto il mondo, dal lockdown alle aree rosse, dalle mascherine al coprifuoco. La sola speranza risiede nell’arrivo di un vaccino, che risponda ai criteri di sicurezza, tollerabilità ed efficacia.
Centinaia di laboratori in tutto il mondo stanno lavorando ininterrottamente da mesi, e presso l’Istituto Nazionale delle Malattie Infettive “L. Spallanzani” di Roma è in fase avanzata la sperimentazione di un vaccino anti SARS-CoV2.
Ed è a questo trial che ho chiesto di partecipare volontariamente, accettando la somministrazione del vaccino sperimentale e l’inoculazione della proteina di superficie virale “spike” veicolata da un adenovirus.
Perché questa scelta da parte di un medico infettivologo non più tanto giovane? Non si tratta di coraggio né di eroismo né di incoscienza. Piuttosto è un misto di curiosità scientifica, di dovere verso la collettività, di consapevolezza che è il singolo al servizio dell’insieme e non viceversa, di coscienza che qualcuno deve comunque iniziare ed aprire la strada agli altri.
E soprattutto il bisogno di invertire la domanda “perché io?” in “e perché non io?”.
Claudio Puoti è Docente di Gastroenterologia nel Corso di Laurea in Tecniche di Radiologia Medica, per Immagini e Radioterapia.
Insegna anche Disfagie gastroesofagee al Master On-line di I livello di Deglutologia e disturbi correlati.