È la dose che fa il veleno, recita un vecchio adagio. Quando si tratta di farmaci in realtà la verità non è troppo distante dalla saggezza popolare. Uno studio portato avanti da Pietro Domenico Gramuglia, studente di UniCamillus al 5° anno del Corso di Laurea in Medicina e Chirurgia, con la supervisione della Professoressa Chiappini, docente di Psichiatria dell’Università Medica Internazionale, fa luce proprio sugli effetti collaterali indotti dall’abuso di un particolare principio attivo: il metilfenidato. Si tratta di una sostanza usata nella cura dell’adhd, cioè il disturbo dell’iperattività, che però in molti casi può portare addirittura ad una dipendenza.
Alla ricerca hanno collaborato altri sette fra studenti e ricercatori di varie università e istituti di ricerca internazionali. Il lavoro è stato poi pubblicato sulla rivista Frontiers in Psychiatry. Pietro Gramuglia spiega così come è nata l’iniziativa di questa ricerca: “Tutto è iniziato a maggio 2024, studiando i disturbi psichiatrici associati all’uso di sostanza stupefacenti. Il metilfenidato è un farmaco che va a regolare i neurotrasmettitori di serotonina e dopamina, non diversamente da quanto fanno sostanze oppiodi o la cocaina. Queste, come noto, producono effetti di dipendenza e da diversi studi pregressi è già emerso che anche il metilfenidato dia effetti simili. Infatti si sono registrati tassi crescenti di uso improprio e abuso, in particolare nei pazienti con doppia diagnosi di disturbi psichiatrici concomitanti e disturbi da uso di sostanze. Volevamo quindi capire se l’elevato rischio di dipendenza ed effetti avversi in queste popolazioni vulnerabili possa giustificare una revisione sistematica dell’uso del farmaco”.
Come avete proceduto?
“Siamo partiti selezionando oltre 1300 articoli da diverse fonti (pubmed, scopus e WebofScience), poi abbiamo effettuato una systematic review sulle parole chiave legate al tema dell’abuso del metilfenidato. È stato un lavoro che ha richiesto mesi dalla selezione di articoli nei vari database e la stesura finale dei risultati e la discussione”.
Cosa è emerso dalla vostra ricerca?
“Abbiamo visto che di effetti collaterali ce ne sono molti, anche gravi. Ci sono stati anche due suicidi per uso improprio di metilfenidato. Diverse inoltre le conseguenze a livello intestinale e cardiaco. Molto dipende anche dalle formulazioni del farmaco stesso e da come viene assunto (oralmente o per via venosa). Le formule a lungo rilascio hanno mediamente effetti collaterali meno gravi rispetto a quelli a rilascio immediato. Sembra comunque evidente a questo punto che serva un maggiore controllo nella prescrizione del farmaco. Abbiamo analizzato per questo diverse strategie possibili per intervenire sulla somministrazione di tale farmaco, sempre sotto supervisione medica, e sul dosaggio. Molto importante inoltre è educare gli stessi pazienti sull’uso della sostanza e sugli effetti collaterali cui vanno incontro”.
Siete soddisfatti del risultato ottenuto?
“Molto. Il nostro lavoro è stato pubblicato su Frontiers Psychiatry e ha raccolto oltre 1600 visualizzazioni e 500 download in un mese e mezzo, venendo citato e ripubblicato da diverse altre fonti e istituzioni autorevoli in ambito medico-scientifico e accademico. Anche l’European Network Adult adhd ha riportato l’articolo. Questo studio, insieme alla professoressa Chiappini, vorremmo ora presentarlo in una importante conferenza mondiale, che si svolgerà a Praga a maggio. Sarà la decima su questo argomento e lì saranno presentate tutte le maggior novità scientifiche in questo ambito”.