Ne abbiamo parlato con Francesco Cognetti, Oncologo e Docente di Oncologia Medica presso l’Università UniCamillus
Sono 44 mila le nuove diagnosi di tumore al polmone registrate in Italia nel 2023 (30 mila negli uomini e 14 mila nelle donne), mentre nel 2022 sono stati oltre 35 mila i decessi causati da questa patologia (dati AIRTUM – Associazione Italiana Registri Tumori). L’80% di casi riguarda la variante non a piccole cellule.
Parlando di numeri globali, l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) evidenzia che, nel 2022, sono morte circa 1,81 milioni di persone nel mondo, oltre ad essere stati segnalati 2,48 milioni di nuovi casi.
Un tumore che si riconferma, quindi, come la neoplasia più comune, oltre che principale causa di morte oncologica.
Si tratta, però, di dati relativamente recenti: all’inizio del XIX secolo era una patologia estremamente rara, che colpiva l’1-2% della popolazione. Ha cominciato a diffondersi a metà del XX secolo, diventando la principale causa di morte soprattutto nel genere maschile: l’ipotesi più diffusa era che la motivazione principale fosse stata l’esposizione ai gas tossici durante la I Guerra Mondiale. Intorno agli anni ‘50, tuttavia, si è compreso quanto forte fosse la correlazione tra abitudine al fumo di sigaretta e insorgenza dei sintomi, tanto da dare il via a campagne antifumo in tutto il mondo.
La diagnosi di tumore al polmone può suonare come una condanna, ma in realtà ci sono anche delle buone notizie: negli ultimi anni, nei pazienti affetti da tumore al polmone, il tasso di sopravvivenza globale a 5 anni è aumentato del 15% in totale. Tuttavia, si continuano a sottolineare le maggiori chance che hanno coloro che lo diagnosticano subito: si passa dal 7-10% di sopravvivenza a 5 anni per le diagnosi in stadio avanzato, al 60-70% per quelle in stadio iniziale.
Proprio per questo motivo lo scorso 27 settembre è stato presentato alla Camera dei Deputati, a Roma, il Position Paper “Tumore al Polmone: la Via Maestra è la Diagnosi Precoce”. Il paper è stato esposto da un panel di rappresentanti di comunità scientifica, associazioni di pazienti e istituzioni, ed è stato realizzato con il contributo di Johnson&Johnson MedTech.
Durante l’evento, è stata segnalata la profonda importanza della diagnosi precoce, soprattutto nei soggetti a rischio come i fumatori over 50: questo deve avvenire tramite programmi di screening gratuiti nonché corsi antifumo.
Tipi di tumore al polmone
Esistono diversi tipi di tumore al polmone, tra cui il più comune è il carcinoma polmonare non a piccole cellule (NSCLC). Questo gruppo comprende tre sottotipi principali: adenocarcinoma, che spesso colpisce i non fumatori ed è il tipo più comune; carcinoma a cellule squamose, tipico dei fumatori, che si sviluppa principalmente nelle vie aeree centrali; e il carcinoma a grandi cellule, una forma più rara che può crescere in qualsiasi parte del polmone.
In circa il 20% dei casi, si osserva invece il carcinoma polmonare a piccole cellule (SCLC), caratterizzato da una crescita estremamente rapida e aggressiva.
Il principale fattore di rischio per il tumore al polmone è senza dubbio il fumo di sigaretta. «Nei fumatori, c’è un aumento del rischio di ben 23 volte rispetto ai non fumatori, e di 11 volte rispetto agli ex fumatori – afferma Francesco Cognetti, Oncologo e docente di Oncologia Medica presso l’Università UniCamillus. – Il rischio aumenta in ragione del numero di sigarette fumato: cresce di 3 volte per chi fuma meno di 5 sigarette al giorno, e di 36 volte per chi ne fuma più di 25». Anche l’età di cessazione del vizio del fumo è molto importante: il rischio diminuisce con l’aumentare degli anni che sono passati da quando si è smesso.
Anche sei il fumo di sigaretta è responsabile dell’80% dei casi di tumore al polmone, non è l’unico.
Tra le altre cause, si annoverano l’esposizione a gas radioattivi come il radon, all’amianto, all’inquinamento ambientale nonché a fattori genetici.
I tipi di tumori che colpiscono i fumatori sono diversi rispetto a quelli che invece affliggono i non fumatori: nei primi è più frequente il carcinoma a cellule squamose e il carcinoma a piccole cellule, estremamente aggressivi. Nei non fumatori, invece, è più comune l’adenocarcinoma, che cresce più lentamente e colpisce il polmone nelle aree più periferiche.
I vaccini a mRNA: una prospettiva promettente
Quali sono le terapie disponibili? «I tipi di trattamenti cambiano molto a seconda del tipo di tumore – specifica Cognetti – Esiste un 20% di tumori che sono oncogene addicted, e che quindi non hanno correlazione con il vizio del fumo, bensì con alterazioni molecolari che possono favorire l’insorgenza della malattia: questi sono trattabili con farmaci a target molecolare, utilissimi sia in pazienti in fase avanzata che in quelli già operati».
Nel caso dei tumori provocati dal fumo di sigaretta, invece, in genere si affianca la chemioterapia all’immunoterapia, con grandi progressi rispetto al passato. Poiché la mortalità permane alta, si va verso la ricerca di nuove strategie, che potrebbero essere rappresentate dai vaccini.
Già utilizzati nella prevenzione dell’epatocarcinoma, i vaccini non sono una novità nel trattamento dei tumori. «Questa è l’era dei vaccini a mRNA, sulla scorta dell’esperienza sviluppata durante il Covid19, in cui sono stati prodotti appunto dei vaccini contenenti una proteina del virus – spiega Cognetti – Si sta tentando lo sviluppo di vaccini a mRNA sia per i tumori polmonari che per il melanoma maligno».
I vaccini antitumorali, a differenza di quelli per il Covid, non sono preventivi, ma curativi. Il loro obiettivo è stimolare il sistema immunitario a riconoscere e combattere le cellule tumorali. Il processo inizia con l’analisi del tumore, in cui i ricercatori identificano specifiche proteine, chiamate antigeni, che sono presenti solo sulle cellule tumorali o in quantità significativamente maggiori rispetto alle cellule sane. Una volta identificati questi antigeni, si sviluppa un vaccino che contiene mRNA, una molecola che fornisce istruzioni alle cellule del corpo su come produrre queste proteine tumorali. Quando il vaccino viene somministrato, l’mRNA entra nelle cellule, che iniziano a produrre le proteine tumorali. A questo punto, il sistema immunitario riconosce queste proteine come estranee e attiva i linfociti T, essenziali nella lotta contro le cellule tumorali. Questi linfociti T si moltiplicano e diventano capaci di riconoscere e distruggere le cellule tumorali nel corpo.
L’aspetto chiave di questo approccio è che, una volta “allenato” a riconoscere le cellule tumorali, il sistema immunitario può rimanere vigile e pronto a combattere eventuali recidive nel tempo: questo rende i vaccini a mRNA una promessa significativa nella lotta contro il cancro.
«L’immunoterapia è stata sperimentata nel melanoma con discreti successi: sono stati ottenuti risultati molto importanti anche negli stadi più avanzati. Ora è la volta del polmone – spiega Cognetti – A tal proposito, c’è uno studio in corso che ha dato risultati apprezzabili in alcune decine di pazienti, ed è stato quindi ampliato a 130 individui affetti da tumore al polmone, coinvolgendo 34 centri di cura tra Inghilterra, Stati Uniti, Polonia, Ungheria, Germania, Spagna e Turchia. Cominciano a pervenire i risultati, che sembrano assolutamente interessanti».
Lo studio in questione si chiama LuCa-MERIT-1, e mira a stimolare il sistema immunitario dei pazienti contro il tumore al polmone non a piccole cellule, fornendo istruzioni che permettono alle cellule del corpo di produrre proteine specifiche del tumore.
«Ancora non è un trattamento standard, ma in un tempo non estremamente lungo i vaccini a mRNA potranno essere introdotti nella lotta contro il tumore al polmone» conclude Cognetti.