Vaiolo delle scimmie e stato di emergenza: cosa fare (e non fare)

Sintomi, tipi di trasmissione e prevenzione spiegati da Rita Lucchetti, Docente di Igiene Generale e Applicata presso l’Università UniCamillus

È recentissima la data del 14 agosto 2024, quando l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha dichiarato nuovamente uno stato di emergenza di salute pubblica internazionale a causa della diffusione del vaiolo delle scimmie, anche noto come monkeypox o Mpox. Il motivo è stato un aumento dell’incidenza dei casi registrati in Congo: 15600 casi nel 2024 con 537 decessi, la maggior parte bambini sotto i 15 anni.

Eppure non era passato molto tempo dall’ultimo stato di emergenza dichiarato dall’OMS per la stessa motivazione, dal 23 luglio 2022 all’11 maggio 2023.

Il vaiolo delle scimmie, in realtà, appartiene alla stessa famiglia del vaiolo umano (orthopoxvirus), eradicato nel 1980 grazie a campagne di vaccinazione di massa. L’aumento di incidenza del vaiolo delle scimmie negli ultimi anni, infatti, sembra derivare proprio dalla cessazione della vaccinazione contro il vaiolo umano. Ma non solo, perché devono essere considerate altre cause, in quanto «le persone invadono sempre più gli habitat degli animali portatori del virus – come spiega Rita Lucchetti, Docente di Igiene Generale e Applicata presso l’Università UniCamillus – Inoltre, va considerato il miglioramento di test diagnostici che ha portato ad un aumento delle diagnosi».


Di cosa si tratta

Il vaiolo delle scimmie è un’infezione virale zoonotica, ossia trasmessa dagli animali all’uomo, e causata dal monkeypox virus, che appartiene alla famiglia Poxyiridae (quella del vaiolo umano). «È un virus a DNA a doppio filamento – afferma Lucchetti – Esistono due cladi geneticamente distinti del MPXV: il Clade I (precedentemente clade dell’Africa centrale, bacino del Congo) e il Clade II (precedentemente clade dell’Africa occidentale). Il Clade II si suddivide inoltre in Clade IIa e IIb. Il Clade I, anch’esso suddivisibile nel Clade Ia e Ib, è clinicamente più severo, a maggiore trasmissibilità interumana e a maggiore letalità».

Si chiama “vaiolo delle scimmie” perché fu identificato la prima volta proprio in questa specie, nel 1958 in un laboratorio danese. L’ospite animale del virus sono le scimmie e i piccoli roditori.

Il primo caso umano, invece, risale al 1970, per poi diventare endemico nelle regioni dell’Africa centrale e occidentale. Il primo focolaio fuori dall’Africa è stato registrato negli Stati Uniti nel 2003, per poi diffondersi anche in Europa a causa di viaggi e importazione di mammiferi infetti.

Il primo caso di Mpox in Italia risale al 20 maggio 2022. Da quella data all’8 agosto 2024, il Ministero della Salute conferma 1056 casi, la maggior parte dei quali si è verificata nell’estate del 2022.


Trasmissione

Come avviene la trasmissione da animale a uomo? «Attraverso il morso o il contatto diretto con sangue, carne, fluidi corporei o lesioni cutanee di un animale infetto, come piccoli mammiferi selvatici, ma anche da piccoli roditori da compagnia quali criceti, conigli, porcellini d’India» illustra la Lucchetti.

La trasmissione interumana, similmente, avviene per contatto stretto con una persona sintomatica infetta. «Può avvenire attraverso rapporti sessuali, ma anche semplicemente per contaminazione da parte della persona infetta di oggetti che vengono poi utilizzati da soggetti con abrasioni di cute e mucose, o ancora toccandosi occhi, naso, bocca e mucose con le mani contaminate».

Come sottolinea la nostra esperta, è stata documentata anche una via di trasmissione materno-fetale per via placentare, o anche durante e dopo il parto per contatto stretto.

E da persone ad animali? «Ancorché non dimostrata, la contaminazione è possibile anche in questo verso – allerta Lucchetti – di qui le indicazione per le persone malate di non avere contatti diretti con animali domestici, ovvero di segnalare al Servizio veterinario gli avvenuti contatti per porli in quarantena».


Sintomi, diagnosi e cura

I sintomi del vaiolo delle scimmie sono vari, e comprendono generalmente febbre, mal di testa, stanchezza, linfonodi ingrossati e dolori muscolari. Dopo un paio di giorni dall’inizio della febbre, si manifesta un’eruzione cutanea che evolve in croste e pustole. Queste lesioni colpiscono soprattutto le aree genitali o peri-anali, il tronco, le braccia, le gambe, il viso, le mani e i piedi.

La diagnosi certa avviene attraverso dei test specifici. «Si tratta dei test di amplificazione degli acidi nucleici, come la reazione a catena della polimerasi (PCR), che è il test di laboratorio preferibile data la sua specificità e sensibilità – spiega la nostra esperta – Viene eseguito su campioni biologici prelevati tramite tampone delle lesioni cutanee, tampone orofaringeo e/o anale». Ma non solo: come spiega la Lucchetti, esistono anche test sierologici per il dosaggio di IgG e IgM antimpox.

Una volta diagnosticato il vaiolo delle scimmie, ci si può considerare infetti finché tutte le croste non sono cadute, lasciando la pelle nuova sottostante. Questi sintomi tendono a risolversi spontaneamente in un mese, senza alcun trattamento. «Come per tutte le infezioni virali, le terapie sono sintomatiche e di supporto – afferma la Lucchetti – Tuttavia, nei casi più gravi, può essere utilizzato un farmaco antivirale: il tecovirimat». La terapia antivirale va considerata in caso di pazienti gravemente immunodepressi, o con rischio elevato di infezione disseminata.

In caso di infezione, il paziente deve isolarsi, utilizzando anche un bagno personale, ed evitando contatti con esseri umani e persone. È di buon uso indossare la mascherina chirurgica e stare a riposo, mantenendo un buon livello di idratazione e nutrizione.


Prevenzione: accortezze e vaccino.

Come buone pratiche per contenere la diffusione della malattia, si possono seguire le raccomandazioni della circolare ministeriale del 20 agosto 2024, tra cui:

  • avere rapporti sessuali protetti
  • evitare rapporti sessuali con persone infette
  • evitare di manipolare oggetti del paziente infetto senza dispositivi di manipolazione
  • in caso di viaggi in zone endemiche, valutare l’opportunità di vaccinazione

Esiste infatti un vaccino contro il vaiolo delle scimmie. «Per prevenire il Mpox, esiste il vaccino MVA-BN (Modified Vaccinia Ankara-Bavarian Nordic), di terza generazione – indica la Prof.ssa Lucchetti – La vaccinazione è raccomandata a personale di laboratorio con possibile esposizione diretta a orthopox virus, uomini che hanno rapporti sessuali con partner uomini multipli, persone che si recano in zone endemiche, soggetti e bambini immunodepressi».


Complicanze e rischi a lungo termine

La nostra esperta, tra le complicanze più frequenti, elenca infezioni batteriche secondarie, broncopolmonite, sepsi, encefalite e infezione della cornea. «Sono state inoltre descritte complicanze genitali, perianali e orali, tra cui proctite e tonsillite» continua.

Tuttavia, ultimamente i sintomi prodromici del vaiolo delle scimmie sembrano essersi attenuati, presentandosi in forma più lieve che in passato. «La variante Clade II ha subito una mutazione che ha determinato l’epidemia del 2022 in Nigeria – espone Lucchetti – Questa variante è quella che circola a livello globale, quindi anche in Europa, che ha una minore letalità, aggressività e sintomi meno gravi».


Misure sanitarie globali per il contenimento del virus

Il controllo della diffusione del Mpox sembra essere discreto, ma occorre avere una maggiore attenzione in determinati ambiti e settori. «In Occidente le misure di prevenzione e sanità pubblica adottate a livello internazionale sono in grado di controllarne la diffusione, ma è necessaria una capillare sensibilizzazione e informazione sia a livello di popolazione che nei settori specifici interessati, quali strutture e operatori sanitari».

Diverso è il discorso dei Paesi africani. «Soprattutto nel Congo, OMS, CDC (Centers for Disease Control and Prevention) e Amref Health Africa stanno intervenendo insieme ai governi africani per implementare e sostenere in maniera massiccia lo sviluppo di piani di emergenza e di risposta a livello nazionale, il rafforzamento della sorveglianza e il supporto tecnico per le indagini sui focolai, la sensibilizzazione e il coinvolgimento delle comunità, in particolare nei punti di ingresso alle frontiere e nelle aree difficili da raggiungere» conclude la Lucchetti.