Bodybuilding e rischio cardiaco: studio internazionale lancia l’allarme

Tra i ricercatori, anche il Prof. Stefano Palermi, Docente dell’Università UniCamillus: in questa intervista, ci spiega i risultati dell’indagine realizzata.

Lo sport fa bene… ma occhio alle esagerazioni. E, soprattutto, occhio alle sostanze che troppo spesso popolano il mondo sportivo, rendendolo molto meno sportivo di quanto potrebbe (e dovrebbe!) essere. Sembra strano? Eppure è così: il bodybuilding “sconsiderato” fa male al cuore. È quanto afferma un’indagine internazionale coordinata dai ricercatori dell’Università di Padova e a cui ha partecipato anche il Prof. Stefano Palermi di UniCamillus. Questo studio ha portato alla luce dati preoccupanti per ciò che concerne la salute dei bodybuilder di sesso maschile, in particolare tra i professionisti di alto livello.

Pubblicata sull’European Heart Journal, la ricerca è frutto della collaborazione tra ricercatori italiani, americani e austriaci, e ha analizzato un ampio campione di oltre 20 mila atleti che hanno partecipato a competizioni IFBB (Federazione Internazionale di Bodybuilding & Fitness) tra il 2005 e il 2020, seguendone i dati sanitari per una media di oltre otto anni.  

Durante questo periodo sono stati registrati 121 decessi, il 38% dei quali attribuiti a morte cardiaca improvvisa. In diversi casi, queste morti sono state associate a modifiche strutturali del cuore e, frequentemente, all’uso di sostanze dopanti. L’elemento più critico evidenziato dallo studio è che i bodybuilder professionisti mostrano un rischio di morte cardiaca improvvisa più di cinque volte superiore rispetto agli atleti dilettanti.

Per capire meglio i meccanismi di questo studio e dell’argomento che è stato affrontato, abbiamo intervistato il Prof. Palermi, diretto interessato in quanto coinvolto nel team internazionale che ha condotto questa ricerca. Il Prof. Stefano Palermi è Docente delle Malattie dell’Apparato Locomotore presso l’Università UniCamillus.


Prof. Palermi, quali sono stati il suo ruolo e il contributo specifico che ha portato allo studio?

«Lo studio è stato ideato e coordinato dal mio amico e collega, il Dott. Marco Vecchiato, medico dello sport e ricercatore presso l’Università di Padova. Marco conosce molto da vicino il mondo del bodybuilding, e da tempo ne studia i potenziali rischi associati. È stato lui a concepire il disegno dello studio e ad avviare questa imponente raccolta dati, che oggi ha portato a risultati di grande impatto. Lo studio, pubblicato sull’European Heart Journal (uno dei più autorevoli giornali scientifici al mondo), ha avuto una risonanza internazionale straordinaria, ricevendo ampia copertura sui media scientifici e generalisti di tutto il mondo. Marco ha già rilasciato numerose interviste, a dimostrazione dell’interesse e della rilevanza che questo lavoro ha suscitato anche fuori dalla comunità medica.

Il mio contributo si è concentrato principalmente sulla parte metodologica e organizzativa. Si trattava di un dataset complesso, basato su un’accurata revisione, con oltre 20 mila atleti da analizzare. Il lavoro di verifica incrociata, categorizzazione e interpretazione clinica richiedeva competenze trasversali, ed è stato un piacere collaborare. Insieme a noi hanno partecipato anche altri colleghi di valore internazionale, tra cui Andrea Ermolao, Marco Da Col, Andrea Aghi, Giampaolo Berton, Francesca Battista, Sandro Savino, Jonathan Drezner, Alessandro Zorzi, Josef Niebauer e Daniel Neunhaeuserer.»


Lo studio rivela un rischio significativamente superiore di morte cardiaca improvvisa nei bodybuilder professionisti, e le motivazioni sono in parte dovute a modifiche strutturali del cuore, in parte all’uso di sostanze dopanti. Qual è la causa più frequente?

«È difficile identificare una singola causa come unica responsabile, perché spesso più fattori possono coesistere. Tuttavia, alcune ipotesi sono fattibili: i regimi di allenamento intenso combinati a diete estreme ad alto tasso proteico che prevedono grandi oscillazioni di peso tra fasi off- e on-season spesso con drastiche riduzioni idrosaline nel pre-gara, sono fattori che pongono sotto forte stress il sistema cardiovascolare. A questo si aggiunge l’uso e molto spesso l’abuso di sostanze per aumentare la performance, molte delle quali sono sostanze dopanti, in particolare gli steroidi anabolizzanti. 

Nei pochi casi in cui erano disponibili referti autoptici o tossicologici, si è evidenziato un chiaro abuso di AAS (Anabolic-Androgenic Steroids), associato a ispessimento e ingrandimento del cuore, fibrosi e coronaropatia. Queste modifiche sono note per aumentare in modo significativo il rischio di aritmie fatali.»


La modifica strutturale del cuore si verifica solo nel caso del bodybuilding o anche con altri sport? Ed è dovuta allo sforzo o all’uso di sostanze? 

«Le modifiche strutturali del cuore possono verificarsi anche in altri sport di resistenza o potenza, e sono conosciute come “cuore d’atleta”. In genere, però, si tratta di adattamenti fisiologici e benigni. Nei casi identificati negli atleti deceduti, queste modifiche superavano i limiti fisiologici, diventando francamente patologiche. La cardiomegalia e l’ipertrofia ventricolare severa sono condizioni difficilmente riscontabili in atleti sani, anche di alto livello.»


Le autopsie hanno mostrato spesso cardiomegalia e ipertrofia ventricolare. Di cosa si tratta e quanto sono pericolosi?

«Clinicamente, la cardiomegalia indica un ingrossamento anomalo del cuore, mentre l’ipertrofia ventricolare, in particolare sinistra, è un ispessimento delle pareti del ventricolo che può compromettere la funzione elettrica e meccanica del cuore.

Queste condizioni non sono pericolose in sé in tutti i casi, ma diventano critiche quando associate a fibrosi miocardica o a una ridotta compliance del muscolo cardiaco. In questi atleti, possono predisporre a tachiaritmie ventricolari maligne, che rappresentano la causa più frequente di morte cardiaca improvvisa.»


È un evento inevitabile quello della modifica strutturale del cuore, o avviene solo in alcuni soggetti predisposti? Si può prevenire? Esistono controlli medici per gli atleti agonisti? 

«Non è un evento inevitabile, ma dipende da diversi fattori: genetica, intensità e durata dello stimolo, e soprattutto uso di sostanze dopanti. Alcuni soggetti possono sviluppare danni precocemente, altri tollerano meglio lo stress. In ogni caso, la prevenzione è possibile e passa dalla consapevolezza e dal monitoraggio medico.

In Italia, la visita medico sportiva agonistica è obbligatoria e rappresenta uno degli strumenti più avanzati di screening cardiovascolare a livello mondiale. Nonostante ciò, solo alcune federazioni di bodybuilding richiedono la visita medico sportiva come condizioni necessaria al tesseramento mentre le restanti non ne fanno menzione. Questo fa sì che alcuni ricevano una valutazione approfondita con test da sforzo cardiovascolare, altri ricevano una valutazione con elettrocardiogramma a risposo finalizzata all’ottenimento di un’idoneità non agonistica mentre molti sfuggono totalmente al sistema di screening.  A livello internazionale ovviamente vige una variabilità che dipende dalla singola nazione ma più in generale possiamo dire che queste regole sono spesso disattese o non applicabili. È fondamentale rafforzare la cultura della prevenzione anche in questi contesti.


C’è qualcosa che consiglierebbe agli appassionati di bodybuilding che si allenano a livello agonistico?

«Il messaggio è chiaro: il bodybuilding può essere una forma straordinaria di disciplina fisica e mentale, ma la ricerca dell’estremo a ogni costo non deve mai compromettere la salute. Allenarsi intensamente è legittimo, ma deve avvenire evitando scorciatoie farmacologiche e rispettando i tempi fisiologici del corpo, meglio se con regolari controlli medici.

Serve un cambio culturale: valorizzare la forza e la forma fisica, sì, ma senza idealizzare modelli insostenibili e potenzialmente pericolosi. L’aspetto non è sinonimo di salute.


Ci sono ulteriori studi in questa direzione che si appresta ad indagare con UniCamillus?

«Sì, assolutamente. Insieme ad altri colleghi stiamo concludendo uno studio analogo sulle bodybuilder femmine, attualmente in fase di pubblicazione. È un ambito ancora meno esplorato, ma altrettanto delicato, perché coinvolge dinamiche psicologiche e ormonali molto particolari.

UniCamillus è molto attenta ai temi della salute nello sport e della prevenzione, e stiamo già progettando ulteriori studi longitudinali sul cuore degli atleti, in chiave di medicina dello sport ma non solo. Questo filone di ricerca è solo all’inizio, ma ha una grande rilevanza sociale.»