Cambio dell’ora e sonno: la revisione di UniCamillus e Neuromed rivela effetti concreti sul riposo e sui ritmi biologici

Abbiamo dormito un’ora in più lo scorso weekend. Siamo davvero più riposati? Probabile, ma non è detto: in alcuni casi, l’adattamento al cambio dell’ora  può causare qualche giorno di spossatezza e confusione, anche quando è il buio ad anticipare. Le persone cosidette “allodole” – cioè chi tende a svegliarsi presto e è più attivo nelle prime ore del giorno — risultano in genere penalizzate in questo periodo rispetto ai “gufi”, ovvero coloro che rendono meglio la sera e faticano ad alzarsi presto. Ovviamente non è una regola valida per tutti! Ma andiamo con ordine: cos’è il cambio dell’ora e a cosa serve?

Il passaggio dall’ora solare all’ora legale è una pratica adottata in oltre 70 Paesi per sfruttare meglio la luce serale. Sembra consolidata ma, nonostante tutto, continua a dividere scienziati e politici. Se in origine era stata introdotta per risparmiare energia, oggi le evidenze scientifiche ne mettono in dubbio i benefici e sottolineano invece le conseguenze per la salute.

Tali conseguenze sono state analizzate in una revisione sistematica condotta dal team del Prof. Andrea Romigi, Docente di Neurologia presso l’Università UniCamillus e Responsabile del Centro di Medicina del sonno dell’IRCCS NeuroIRCCS Neuromed. La revisione, pubblicata su Sleep Medicine Reviews, ha analizzato 27 studi realizzati negli ultimi 43 anni, valutando l’impatto dei cambi d’ora su durata e qualità del sonno, sonnolenza diurna e ritmi circadiani.

43 anni di ricerca sul cambio d’ora

Il cambio dell’ora è stato analizzato su studi che ricoprono ben 45 anni. I ricercatori hanno seguito le linee guida PRISMA 2020 – uno standard internazionale che aiuta a redigere revisioni sistematiche e meta-analisi in modo trasparente, completo e replicabile – e selezionato studi condotti tra il 1980 e il 2023, includendo soggetti di età compresa tra 6 e 85 anni. Sono state considerate sia valutazioni oggettive sia soggettive.

Tra le prime si menzionano l’actigrafia (una tecnica non invasiva che misura e registra i movimenti del corpo nel tempo per studiare i ritmi sonno-veglia), i test di vigilanza (per valutare lo stato di attenzione, vigilanza e prontezza di riflessi) e i livelli ormonali.

Tra le valutazioni soggettive, sono stati analizzati questionari come il PSQI – Pittsburgh Sleep Quality Index (un questionario per valutare la qualità del sonno), diari del sonno e scale di sonnolenza.

Complessivamente, i lavori esaminati coprono Europa, Americhe e Australia, con un’ampia varietà di età, cronotipi e stili di vita.

Risultati principali: l’ora solare è meno traumatica

I tipi di cambio dell’ora sono due, ossia quello primaverile e quello autunnale.

La transizione primaverile all’ora legale è il cambio più critico: quasi tutti gli studi concordano su una riduzione della durata del sonno e su un peggioramento della qualità del riposo. Inoltre, aumenta la sonnolenza diurna, soprattutto nei soggetti con cronotipo serale (i cosiddetti “gufi”), che faticano di più ad anticipare il ritmo. Al contrario, i cronotipi mattutini si adattano più facilmente, con effetti quasi nulli. In alcuni studi si osservano anche incrementi di incidenti sul lavoro e riduzione della vigilanza nei giorni immediatamente successivi al cambio.

La transizione autunnale all’ora solare è molto meno complicata per l’organismo. Gli effetti sono più blandi e spesso addirittura benefici: alcuni studi mostrano un aumento del sonno e un miglioramento dell’umore e della performance mattutina. Tuttavia, non mancano segnalazioni di disturbi transitori (insonnia, frammentazione del sonno) dovuti all’adattamento al nuovo orario.

La minore traumaticità dell’ora solare risulta anche dagli studi sui modelli orari permanenti, ossia  su Paesi che hanno sperimentato periodi di ora legale permanente (pDST) o ora solare permanente (pST).

Nei casi di ora legale permanente (pDST) aumenta la dissociazione tra orologio biologico e sociale, con maggiore social jetlag (fino a +16% di persone con oltre 2 ore di scarto) e peggioramento dell’umore invernale.

L’ora solare permanente (pST), invece, risulta più allineata ai ritmi circadiani naturali, garantendo una migliore qualità del sonno e una riduzione della sonnolenza diurna.

Anche i livelli ormonali confermano questa tesi: gli studi che hanno misurato parametri fisiologici (melatonina, cortisolo, temperatura corporea) indicano che il corpo umano resta ancorato al ritmo solare, adattandosi solo parzialmente al nuovo orario imposto.

Dunque, la revisione del team del Prof. Romigi dimostra che gli effetti del passaggio all’ora legale sono modesti ma ricorrenti e che, anche se transitori, possono influenzare benessere, vigilanza e sicurezza. Per questo l’adozione dell’ora solare permanente sarebbe più coerente con la biologia umana.

Gli autori invitano a riflettere su politiche pubbliche che rispettino maggiormente i ritmi circadiani, evitando cambi stagionali che – seppur brevi – rappresentano un vero e proprio “mini jet lag sociale”.