Quando il freddo si fa intenso, è facile che siano proprio le parti più esposte a soffrire. In particolare, le mani potrebbero screpolarsi e diventare molto pallide. Tuttavia, c’è una condizione particolare che dal freddo è scatenata, ma coinvolge sintomi e spesso cause molto più complesse: il fenomeno di Raynaud.
«Durante un attacco di Raynaud, si verifica un vasospasmo delle arteriole: questi piccoli vasi si restringono, riducendo drasticamente l’afflusso di sangue alla zona colpita – spiega Alessandro Bellisario, Cardiochirurgo e Docente di Chirurgia Vascolare presso l’Università UniCamillus – Questo causa ischemia temporanea, che si manifesta con i caratteristici cambiamenti di colore e il dolore».
Due forme, due scenari clinici
Il fenomeno di Raynaud si presenta in due forme principali: il Raynaud primario, meno grave, e il Raynaud secondario, che può invece essere segno di una malattia sottostante. «Il primario colpisce spesso individui giovani, ed è di solito benigno – continua Bellisario – Il secondario, invece, si associa a malattie del tessuto connettivo, come la sclerodermia, il lupus eritematoso sistemico, l’artrite reumatoide o la polimiosite, ed è più comune in persone sopra i 40 anni».
Il fenomeno di Raynaud non è raro: si stima che colpisca circa il 4% della popolazione, con una netta prevalenza tra le donne rispetto agli uomini (un rapporto di 5:1). «Ci sono fattori ormonali che contribuiscono a questa differenza – sottolinea Bellisario – Tra gli altri elementi predisponenti, possono influenzare il vivere in climi freddi, la familiarità con la condizione, l’esposizione ad agenti chimici quali il mercurio e il cloruro di vinile, e l’uso di alcuni farmaci, come i betabloccanti».
Raynaud o semplici geloni?
D’inverno, tuttavia, può capitare che le mani diventino più pallide, sviluppando fastidio, dolore, prurito e piccole ulcere: si tratta dei cosiddetti geloni. Come distinguere i due fenomeni? In realtà, sono molto diversi per dinamica e manifestazione, sebbene alcuni effetti possano sembrare simili a prima vista. «Il fenomeno di Raynaud si caratterizza per tre fasi – spiega Massimo Gravante, Dermatologo e Docente di Dermatologia presso l’Università UniCamillus – la fase ischemica, in cui le arteriole si chiudono e le mani diventano bianche a causa dell’assenza di flusso arterioso».
A questa prima fase segue un’evoluzione che lo differenzia ulteriormente dai geloni. «La seconda fase è quella cianotica: il sangue non riesce a uscire e intasa le venule, rendendo la pelle bluastra. Infine, si arriva alla fase di eritema, quando la vasocostrizione si risolve e il ‘rubinetto’ si riapre (in genere dopo 15-20 minuti), comparendo un rossore intenso dovuto al ritorno del flusso sanguigno».
I geloni, al contrario, non seguono questo schema dinamico e risultano da un danno vascolare cronico, causato dal freddo, senza il tipico fenomeno di apertura e chiusura del “rubinetto termico”.
Diagnosi di Raynaud
Il fenomeno di Raynaud, in particolare quando si presenta per la prima volta, può suscitare preoccupazione, poiché la sua manifestazione potrebbe essere il segnale di una condizione sottostante più grave, come una malattia autoimmune. La diagnosi precoce diventa quindi fondamentale per indirizzare correttamente il paziente verso il trattamento giusto. «Se un paziente presenta il Raynaud per la prima volta, dopo aver raccolto una storia clinica accurata e aver fornito alcuni consigli generali, si procede con una serie di esami diagnostici fondamentali, come la ricerca di anticorpi anti-nucleo nel siero (ANA) e la capillaroscopia – spiega Roberta Priori, Reumatologa e Docente di Reumatologia presso UniCamillus – Questo test permette di osservare lo stato dei capillari».
L’obiettivo di questi esami iniziali è capire se il fenomeno di Raynaud è isolato o se è associato a una malattia reumatologica. «Se al primo esame emergono alterazioni tipiche di una connettivite, o se gli ANA risultano positivi, si procede con test diagnostici più specifici, come la tipizzazione degli ANA, che include la ricerca di anticorpi anti-ENA. Ad esempio, il riscontro di anti-SCL70, anche in assenza di altre manifestazioni cliniche, può essere un indicatore importante per predire lo sviluppo di sclerosi sistemica».
Inoltre, la capillaroscopia è cruciale per individuare segni precoci di danni nei vasi sanguigni. «Il riscontro di un pattern di sclerodermia precoce alla capillaroscopia è un segnale che potrebbe suggerire una progressione della malattia, quindi è importante monitorare attentamente la situazione» suggerisce la Priori. Il concetto di diagnosi precoce sta diventando sempre più importante, con l’obiettivo di evitare danni permanenti e intervenire tempestivamente per prevenire complicazioni future.
La capillaroscopia è uno strumento essenziale per monitorare il Raynaud e un’eventuale causa sottostante, ma non è l’unico esame utile. «Ci sono anche altre tecniche molto valide, come la plicometria cutanea, la manometria esofagea con la pH-metria, la valutazione della capacità polmonare, la capacità di diffusione dei CO2 e l’ecografia renale doppler» continua Bellisario.
Appare dunque evidente che l’attenzione ai dettagli e la tempestività nell’individuare segni premonitori possono fare una grande differenza nel trattamento del fenomeno di Raynaud, soprattutto quando si associa a patologie autoimmuni. La diagnosi precoce non solo migliora la qualità della vita del paziente, ma permette anche di impostare un piano terapeutico mirato per contrastare la progressione della malattia.
Soluzioni terapeutiche e casi estremi
Il trattamento del fenomeno di Raynaud varia in base alla sua natura, ma alcune indicazioni generali restano fondamentali per ogni tipo di paziente. «Per il fenomeno di Raynaud si usano in genere farmaci vasodilatatori come i calcioantagonisti – sottolinea Roberta Priori – Quando il Raynaud è associato a sclerosi sistemica possono essere utilizzati anche altri farmaci, come gli inibitori della fosfodiesterasi o l’antagonista del recettore dell’endotelina (bosentan) in presenza di nuove ulcere digitali o ulcere digitali attive». Tuttavia, mai trascurare la prevenzione, realizzabile anche con un corretto stile di vita e buone abitudini da non dimenticare. «Valgono le indicazioni generiche: non fumare, non usare farmaci che possano peggiorare la condizione come i beta-bloccanti, evitare l’esposizione alle basse temperature e proteggere le mani dal freddo».
In rari casi, quando farmaci e accorgimenti non bastano, si può ricorrere alla chirurgia. «La simpatectomia toracica endoscopica è un’opzione per i pazienti con Raynaud grave – spiega Bellisario – Questa tecnica mira a ridurre l’iperattivazione del sistema simpatico, responsabile del vasospasmo, ma viene utilizzata solo in situazioni eccezionali».
Per quanto molti sintomi del fenomeno di Raynaud siano di tipo neurologico, non si tratta di un problema neurologico. «Non c’è una malattia neurologica che è associata al fenomeno di Raynaud, ma è il contrario: una disregolazione del sistema nervoso vegetativo (su varie basi, come stress o ansia) può facilitare il fenomeno di Raynaud – illustra Luigi Maria Grimaldi, Docente di Neurologia presso UniCamillus, nonché Responsabile dell’Unità Operativa di Neurologia presso la Fondazione Giglio di Cefalù – Sono delle neuropatie periferiche che possono influenzare la risposta vascolare. Quindi il fenomeno di Raynaud è una malattia vascolare in cui ci sono sintomi neurologici come un’alterazione di sensibilità e percezione del dolore, ma non è una malattia neurologica di per sé».
Dunque nonostante le difficoltà che il Raynaud può comportare, la diagnosi precoce e un approccio multispecialistico offrono oggi strumenti sempre più efficaci per migliorare la qualità di vita dei pazienti. Riconoscere il fenomeno di Raynaud come un campanello d’allarme permette di intervenire tempestivamente, prevenendo complicazioni gravi e favorendo una gestione personalizzata del paziente.