Con un curriculum che unisce rigore accademico, passione per la medicina sportiva e un impegno costante sul campo, il Prof. Stefano Palermi, Docente di Malattie dell’Apparato Locomotore presso l’Università UniCamillus, è una figura di riferimento nel panorama della Medicina dello Sport in Italia.
Delegato del Rettore Gianni Profita alla Promozione delle Attività Sportive – per la sede UniCamillus del Lido di Venezia –, medico sociale della Reyer Basket Venezia e collaboratore della Med-Ex, partner medico della Scuderia Ferrari, il Prof. Palermi rappresenta un perfetto punto di incontro tra ricerca scientifica, didattica universitaria e pratica sportiva.
In questa intervista ci accompagna dietro le quinte della sua professione, raccontandoci il valore dello sport nella vita accademica, le sfide mediche degli atleti professionisti e le prospettive future della medicina sportiva, sempre più intrecciata con la tecnologia e l’innovazione.
Prof. Palermi, lei è giovanissimo ma ha un curriculum impressionante! Medico dello Sport, docente, medico di squadre sportive notevoli a livello nazionale e internazionale… Cosa l’ha spinta a dedicare la sua vita alla medicina dello sport?
«La ringrazio sinceramente per le sue parole. Sin da piccolo ho coltivato una grande passione per lo sport, trasmessa anche da mio padre, con il calcio e il basket come compagni di vita, prima da atleta (con scarsi risultati), poi da tifoso e infine da medico! Durante il percorso di studi in Medicina, questa inclinazione ha trovato infatti una direzione più precisa, portandomi a scegliere la specializzazione in Medicina dello Sport. È una disciplina affascinante, molto diversa dalle altre branche mediche: richiede uno sguardo globale sul paziente (che in questo caso è un atleta), un approccio proattivo e, soprattutto, una continua collaborazione con professionisti di diverse competenze. Rifarei questa scelta altre mille volte. Mi ritengo davvero fortunato a svolgere un lavoro che amo: quando c’è passione, l’impegno diventa naturale e le soddisfazioni arrivano come conseguenza.»
Non avrà un minuto libero! Come riesce a mettere insieme tutti questi impegni? Addirittura anche l’impegno pratico con squadre professionistiche come la Reyer Basket Venezia e la Scuderia Ferrari!
«Domanda che farebbe felice mia moglie… o forse no! Scherzi a parte, il supporto della mia famiglia è imprescindibile: senza quello, nulla sarebbe possibile. Detto questo, sono una persona a cui piace rimanere impegnata. L’organizzazione è la chiave: ottimizzare i tempi, sfruttare le ore di viaggio o le attese in aeroporto per studiare, scrivere, progettare. Lavorare con atleti professionisti provenienti da tutto il mondo è impegnativo, ma anche estremamente stimolante. Ogni giorno rappresenta una nuova sfida, ma anche un’occasione di crescita, sia umana che professionale. È faticoso, certo, ma anche profondamente gratificante.»
A proposito di squadre rinomate: in qualità di medico della Reyer Basket Venezia, quali sono le principali problematiche muscoloscheletriche o cardiovascolari che i giocatori affrontano più frequentemente durante la stagione? Come gestisce il recupero e la prevenzione?
«La Reyer è una realtà consolidata in Italia e in Europa, con una struttura molto solida e un settore giovanile tra i più importanti in Italia, grazie al lavoro del Presidente Federico Casarin. La prima squadra maschile disputa contemporaneamente tre competizioni, tra cui l’EuroCup, e questo comporta un calendario fittissimo, con viaggi continui e tempi di recupero minimi. Fortunatamente, possiamo contare su uno staff sanitario ampio e competente, che lavora in stretta sinergia. Le problematiche muscoloscheletriche sono ovviamente le più frequenti, ma non mancano disturbi internistici o cardiovascolari che richiedono attenzione, sin dalle prime visite di idoneità che i giocatori svolgono all’inizio della stagione. Il nostro lavoro parte dalla prevenzione – attraverso screening approfonditi e monitoraggi costanti – e continua nella gestione delle problematiche acute e nel recupero funzionale. Negli ultimi due anni ho avuto l’onore di essere invitato dall’associazione degli allenatori di Eurolega (EHCB) a tenere una lezione su questi temi: è stata un’opportunità importante per condividere la nostra esperienza e confrontarci a livello internazionale, con colleghi provenienti da tutta Europa.»
Come si prepara un atleta di alto livello, come quelli della Reyer appunto, per affrontare le sfide fisiche della Serie A e dell’EuroCup? Quali strategie di prevenzione e recupero adotta per ottimizzare le performance senza compromettere la salute?
«La parola chiave è “interdisciplinarietà”. L’atleta è al centro di un lavoro di squadra in cui ogni figura – dal medico al fisioterapista, dal preparatore atletico allo staff tecnico – ha un ruolo essenziale. Il medico sportivo deve saper dialogare con tutti, comprendere le esigenze tecniche e fisiche, e creare un ponte tra performance e salute. La prevenzione è fondamentale, specialmente quando si gioca ogni 72 ore: bisogna monitorare lo stato di forma, i carichi di lavoro, la qualità del sonno, la nutrizione. E quando l’infortunio si verifica, è altrettanto cruciale strutturare un percorso di ritorno in campo che sia sicuro e graduale, condiviso dallo staff e dal giocatore che, non dobbiamo mai dimenticare, è una persona con le proprie paure e insicurezze. Ogni dettaglio fa la differenza.»
E ora passiamo alla sua collaborazione con Med-Ex, partner medico ufficiale della Scuderia Ferrari: ci sono aspetti specifici della preparazione degli atleti automobilistici che richiedono un approccio diverso rispetto agli sport tradizionali (come appunto il basket!)?
«Assolutamente sì. Ho avuto la fortuna, nella mia breve carriera, di lavorare con atleti provenienti da sport molto diversi tra loro, e questo mi ha permesso di apprezzare quanto ogni disciplina abbia esigenze peculiari. La preparazione di un pilota, soprattutto in un contesto d’élite come quello della Scuderia Ferrari, richiede un’attenzione particolare a parametri fisiologici spesso sottovalutati: la resistenza mentale allo stress, la capacità di concentrazione prolungata, la gestione della fatica in ambienti estremi. Med-Ex, sotto la guida dei Dottori Alessandro Biffi e Fredrick Fernando, svolge un lavoro eccezionale non solo nella preparazione dei piloti della Ferrari Driver Academy, ma anche attraverso i suoi programmi di Corporate Wellness, che portano l’attività fisica e la cultura della prevenzione anche all’interno delle aziende. Lo sport non è solo competizione: è uno strumento potente di salute e benessere e come tale, va diffuso a tutta la popolazione.»
Nello sport è importante prevenire gli infortuni, così come è necessario migliorare le performance, e questo in alcuni casi avviene in sport ad alto rischio (come nel caso della Formula 1): come medico sportivo, come bilancia le due esigenze?
«Prevenzione e performance non sono in antitesi, anzi, vanno di pari passo. Un atleta che si allena in modo corretto, che dorme bene, che mangia in maniera equilibrata, che è seguito da un team di esperti, sarà anche un atleta meno soggetto a infortuni e più performante. La vera sfida è portare il corpo e la mente al limite, ma senza mai oltrepassarlo. Per farlo serve metodo, tecnologia, esperienza e una grande capacità di ascolto dell’atleta. È un equilibrio delicato, che si costruisce nel tempo, giorno dopo giorno, e a cui va dedicata un’intera carriera per perseguirlo!»
Le sue ricerche si concentrano sulla valutazione cardiovascolare e la gestione degli infortuni sportivi. Come mai ha scelto proprio quest’area?
«La Medicina dello Sport è una disciplina incredibilmente ampia, che abbraccia tante sfaccettature: dalla valutazione funzionale, alla fisiologia dell’esercizio, alla traumatologia, fino alla sempre più centrale prescrizione dell’esercizio fisico. Personalmente, mi sono sempre sentito attratto da due anime della specialità: la cardiologia dello sport e la traumatologia. Le considero le due colonne portanti della nostra disciplina, due mondi diversi ma strettamente connessi. Grazie a diverse collaborazioni, nazionali e internazionali, ho potuto approfondire questi ambiti sia nella ricerca sia nella pratica clinica. Partecipare a congressi, confrontarmi con colleghi di altri Paesi, costruire network: tutto questo arricchisce la mia attività quotidiana. Mi piacerebbe trasmettere questo entusiasmo anche ai miei studenti: non si finisce mai di imparare, e uscire dalla propria zona di comfort è il vero segreto per crescere.»
Guardando al futuro, quali sono le aree della medicina dello sport che richiedono maggiore attenzione in termini di ricerca e innovazione?
«Collaborare con la Federazione Medico Sportiva Italiana (FMSI) è per me un privilegio e una grande responsabilità. Negli ultimi anni ho partecipato alla stesura dei nuovi Protocolli cardiologici per il giudizio di idoneità allo sport agonistico (COCIS Comitato Organizzativo Cardiologico per l’Idoneità allo Sport – 2023), che rappresentano una guida fondamentale per tutti i medici dello sport italiani. Oggi, la vera sfida è portare avanti la Medicina dello Sport come medicina preventiva a tutto tondo. In quest’ottica, stiamo lavorando a un documento ufficiale sulla prescrizione dell’esercizio fisico come strumento terapeutico: un vero e proprio “farmaco” da dosare in base alle esigenze del paziente. È un cambio di paradigma che avrà un impatto enorme. E, ovviamente, non possiamo ignorare il ruolo crescente dell’intelligenza artificiale: stiamo sviluppando progetti innovativi anche su questo fronte, con l’idea di integrare sempre di più tecnologia e medicina in chiave preventiva.»
Passiamo ora al suo ruolo di Delegato del Rettore alla Promozione delle Attività Sportive per la sede UniCamillus del Lido di Venezia… Quali sono le principali responsabilità che ricopre in questo incarico?
«Sono molto grato a UniCamillus, al Rettore Profita e al Direttore Nucera, per la fiducia che mi hanno accordato, prima con il ruolo di professore associato e ora affidandomi un incarico così importante in una fase così giovane della mia carriera. Il mio obiettivo è contribuire attivamente allo sviluppo dell’Ateneo, soprattutto in un territorio come quello di Venezia, che ha potenzialità straordinarie ma anche caratteristiche logistiche uniche. L’incarico come Delegato del Rettore rappresenta per me una sfida appassionante: vogliamo portare lo sport al centro della vita universitaria, creare sinergie con il territorio e offrire agli studenti un’esperienza formativa completa, non solo sul piano accademico, ma anche personale.»
Che ruolo riveste l’attività fisica nella vita di studenti che si applicano proprio al settore della Medicina, e quindi della salute? In che modo la promuove all’interno dell’Ateneo? Crede ci siano dei modi per rendere lo sport più accessibile a tutti gli studenti in ambito universitario?
«Credo fortemente che l’attività fisica debba essere parte integrante del percorso formativo di ogni studente, ancor di più per chi studia Medicina. Non possiamo insegnare salute se non siamo i primi a praticarla. Grazie alla visione del Prof. Masala e del nostro Rettore, stiamo strutturando UniCamillus Sport come un vero e proprio contenitore di opportunità: non solo per incentivare la pratica sportiva, ma anche per promuovere una cultura consapevole dello sport, basata su evidenze scientifiche. L’obiettivo è far comprendere ai futuri medici non solo “quanto” sport fare, ma soprattutto “come” farlo: in sicurezza, con criterio e continuità. Vogliamo rendere l’attività fisica accessibile, sostenibile e parte della quotidianità universitaria. E la medicina dello sport riveste un ruolo chiave in tutto ciò: vorrei che più persone avessero consapevolezza di questa disciplina così affascinante, ma così poco studiata in ambito accademico!»
Ha notato un’evoluzione dell’interesse per le attività sportive negli ultimi anni all’interno delle università italiane?
«Sì, in maniera netta. Sempre più atenei hanno capito l’importanza dello sport come strumento formativo e aggregativo. Sono nati progetti universitari, squadre, tornei e percorsi dedicati agli studenti-atleti, anche a livello professionistico. Questo dimostra che è possibile conciliare un percorso di studi impegnativo con una carriera sportiva, e che le due cose possono addirittura rafforzarsi a vicenda. Basti vedere l’esempio degli Stati Uniti, dove nei college ci sono fior fiori di atleti olimpionici, che studiano e performano ai massimi livelli. Il nostro obiettivo è portare anche UniCamillus a essere parte attiva di questo movimento: giovane, dinamica, con uno sguardo internazionale e proiettata verso il futuro.»
Quali sono le sue priorità per il futuro in relazione alle attività sportive universitarie presso la sede UniCamillus del Lido di Venezia? Ha in mente progetti nel breve e lungo termine di cui vuole parlarci?
«Venezia è una città unica, ma non semplice da vivere quotidianamente. Proprio per questo vogliamo creare una rete di collaborazioni con società sportive del territorio, per offrire agli studenti un ventaglio di opportunità che rendano l’esperienza universitaria più completa. Abbiamo già avviato contatti e valutazioni concrete, e nei prossimi mesi partiremo con le prime iniziative, d’accordo anche con la Professoressa D’Orazi. In parallelo, stiamo lavorando a progetti che uniscano sport e formazione, in linea con l’anima di UniCamillus: medicina dello sport, prevenzione, promozione della salute. Con il Direttore Nucera stiamo definendo una serie di attività che renderanno UniCamillus un punto di riferimento anche da questo punto di vista. Sarà una sfida stimolante, e siamo pronti a coglierla.»
Spesso di guarda allo sport come qualcosa di opzionale, come una sorta di alternativa nel tempo libero. Al contrario, dovrebbe essere una sana abitudine costante. Quale consiglio darebbe agli studenti universitari che vogliono conciliare il loro impegno accademico con la pratica sportiva? Crede che sia compito del mondo universitario quello di rendere lo sport parte integrante della loro vita quotidiana?
«Una cosa che gli studenti dovrebbero capire è che lo sport non è una pausa dallo studio, è un alleato dello studio! Fare attività fisica con regolarità migliora l’umore, la concentrazione, la qualità del sonno, e in generale la capacità di affrontare gli impegni quotidiani. Il mio consiglio è semplice: iniziate con poco, ma fatelo ogni giorno. Trovate l’attività che vi piace, che vi fa sentire meglio, e inseritela nella vostra routine come fosse una lezione in più. E sì, credo fermamente che l’università debba essere protagonista in questo processo: non solo offrendo spazi e opportunità, ma anche promuovendo una vera cultura del benessere. Perché formare buoni medici, significa anche formare persone consapevoli del valore della salute, a partire dalla propria.»